Cerco un centro di gravità permanente

di Irene Sanesi

Pubblicato in ÆS ARTS+ECONOMICS N°8 giugno 2020

Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente.

E così, mentre vedo i lettori che non hanno resistito alla tentazione di abbandonarsi alla melodia di queste parole, provo per questa seconda parte del motivo una sana pruriginosa sensazione.

Per inciso, reputo questa canzone del (già lontano) 1981 una delle più alte vette di quella musica che riesce con perfetta maestria a bilanciare erudizione (ma poi Matteo Ricci e Giuseppe Castiglione, che gesuiti lo erano fin nel midollo, siamo sicuri che fossero anche euclidei?), gioco (quando “tra noi si scherzava a raccogliere ortiche”, immagino da portare a quelle madri siciliane dalle cui mani magicamente la cucina si popolava di pesto e caponate) e irriverenza (beato chi la possiede e riesce a trasformare con leggiadria ogni peso specifico dichiarando senza infingimenti di non sopportare “i cori russi, la musica finto-rock, la new-wave italiana, il free-jazz-punk inglese e neanche la nera africana”).

A distanza di qualche decennio ci siamo scoperti fragili, liquidi, interconnessi e dunque irrimediabilmente dipendenti gli uni dagli altri, esposti digitalmente, pronti a cambiare idea nel tempo di un battito di ciglia, o meglio di un like o di un post di una/un influencer. Capaci di tutto e del contrario di tutto, mobili qual piuma al vento e al contempo graniticamente e algidamente disinformati, eroi del riduzionismo nell’era della complessità. Eppure (un eppur galileiano) siamo assetati di verità, cercatori di pepite d’oro (non estrattori di petrolio), bisognosi di trovare conferme più che notizie (o fake news) per poter decifrare nella relazione la nostra identità. Siamo le superficie specchianti di Michelangelo Pistoletto attendenti (qui participio presente) il terzo paradiso, ma anche le gomme (penumatiche) sublimizzate da Paolo Canevari quando nell’immaginario della generazione degli ’80 l’icona  di riferimento era l’omino Michelin, oggi illustre sconosciuto bandito dall’advertising che ha recuperato in fama la guida (Michelin), in preda ad un vero e proprio delirio collettivo di trasmissioni tematiche sul cibo. Attraversiamo con le nostre vite la casa e la caverna di Henrique Oliveira per sbucare, sarebbe meglio dire rinascere, dall’albero dentro una palingenesi etica, culturale e umana, come se finalmente avessimo trovato un dove (hic et nunc) nel nostro altrove.
Per questo oggi una delle riflessioni e delle azioni che più mi paiono sensate riguarda la “centratura” e la nostra capacità, che non è semplice attitudine ma libera scelta, frutto di discernimento, di essere centrati. Centrati su cosa direte voi? E qui le tentazioni si sprecano e le sirene di Ulisse al confronto sembrano innocue educande. Il primo rischio è l’ego-centrismo e vale per gli esseri umani ma anche per enti, istituzioni, imprese che a loro volta sono fatti e fatte, costitutivamente, di persone. Fuori dall’io altrettanti rischi incombono, a partire dalle dipendenze. E qui ci soccorre la gravità, che come tutte le leggi fisiche ha una sua insindacabile e naturale gravitas (quando il latino mantiene il suo significato originario, non traslabile in italiano, ha una potenza ineguagliabile: vaglielo a spiegare ai giovani che non è una lingua morta).

La gravità ci atterra, in tutti i sensi, ci rende umani (non a caso gli astronauti dentro la navicella spaziale che galleggiano nell’aria rarefatta ci fanno sorridere, quasi fossero di un altro pianeta), ci riconduce all’humus (che poi è anche la radice della parola umiltà, e qui sí che il latino trasla, avrebbe detto uno degli alunni del maestro di Io speriamo che me la cavo) della terra.

Alle nostre radici: a Matteo Ricci (Li Ma Dou) e Giuseppe Castiglione (Làng Shìníng), i due padri gesuiti cui fu tributato il duplice onore di possedere il nome cinese accanto a quello italiano e di essere sepolti nella città proibita, che hanno percorso indefessamente le orme di Marco Polo. Non a caso sono i tre italiani più famosi in Cina, ancora imbattuti (ma per quanto ancora?) da influencer e brand della moda (sia chiaro sarebbe apprezzabile a beneficio del Made in Italy, ma se il Made in Italy non comprende fino in fondo il valore delle fonti, dei valori e delle radici, arrischiandosi in inedite forme di rilettura contemporanea, cosa potremo classificare come creatività?). Gesuiti vestiti come due bonzi per entrare a corte degli imperatori: è così che l’Occidente ha sperimentato il dialogo nella lingua dell’altro e ha parlato all’Oriente (che lezione per politici e diplomatici contemporanei, anche se viene il sospetto che la loro formazione forse salti a pie’ pari qualche secolo di storia). E la vecchia bretone non ricorda quei quadri espressionisti dai colori acquerellati di cui siamo eredi, dopo i fondi oro delle nostre Madonne e le grandi tele rinascimentali? Non vi è spazio per la distrazione se siamo alla ricerca del nostro centro di gravità permanente e non vi è gara sulla scelta da che parte stare: vogliamo tutte e tutti essere capitani coraggiosi, quelli di Kipling ma anche dell’attimo fuggente (oh capitano mio capitano, citazione di Whitman), e guardare con sospetto, finanche con disprezzo, i furbi contrabbandieri macedoni. Over and over again.

E con una partigianeria glocal, quanto mai contemporanea, si ritorna in oriente, per le strade di Pechino in una nuova era di maggio, come nuova lo è questa per noi. E il finale, dopo aver parlato, grazie al testo della canzone (la musica l’avete sentita in sottofondo), di arte, storia, religione, scienza e letteratura e del senso profondo che danno alla nostra vita, il finale resta immutato, è un classico (potremmo dire): baby I need your love.


Irene Sanesi è dottore commercialista e revisore legale. Opera nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del terzo settore con particolare riferimento alla cultura, al sociale e agli enti religiosi, settori per cui pubblica e svolge attività di consulenza, apprendimento organizzativo e formazione per soggetti privati e pubblici. Esperta di fundraising, per cui cura campagne di raccolta fondi, occupandosi di formazione, mentoring e consulenza.