Collezionismo privato, una questione pubblica

di ÆS

Pubblicato su ÆS Arts+Economics n°2, Ottobre 2018

Il collezionista possiede una preziosa qualità, la capacità di meravigliarsi del mondo e dei suoi oggetti, di intuirne la potenza evocativa, di entusiasmarsi della loro scoperta, di creare nessi tra i grandi capolavori e le piccole cose che ne hanno costituito il contesto storico, dando un’immagine più completa della cultura del passato (Benjamin, W. 1966)

Come il denaro anche l’arte è un sistema simbolico il cui valore è intrinseco, assegnato o quantomeno assegnabile. Il suo valore è dettato da una convenzione sociale, da un riconoscimento astratto sempre più radicato in questi tempi di scambi liquidi di denaro e di arte sempre più concettuale e indefinita.
Era il 1899 quando Thorstein Veblen1 indicò nell’ostentazione il reale valore dei beni e nel costo la radice della bellezza. Un pò quello che volle dimostrare (con intento ben più accusatorio) Yves Klein nel 1957 con la sua mostra L’epoca blu alla galleria Apollinaire di Milano (su cui Dino Buzzati, sulle pagine del Corriere d’Informazione, scrisse una straordinaria recensione intitolata Blu blu blu) in cui presentò opere tutte monocrome e identiche vendute a prezzi diversi.
Certamente sulle motivazioni che portano un essere sano di mente a diventare collezionista non è facile dirsi perché il collezionismo, davvero, non si può spiegare. È una droga, un affare insensato, una passione, un impulso irrefrenabile, un richiamo primordiale. Qualcosa che completa, senza la quale non puoi vivere. Una cosa che parte dal cuore e invade le viscere passando per la mente. È un amore, quella cosa per cui l’insensatezza è regola e le regole vanno sempre strette. Ogni acquisto è una festa come volare nell’arcobaleno per i Minipony, ogni cessione un lutto e sopportabile solo compensato da un nuovo acquisto.
Il collezionismo è qualcosa per cui, stanti così le cose, il fisco dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni e i collezionisti dovrebbero essere l’ultima preoccupazione dell’erario. Ma non è così perché ogni euro, ogni dollaro versato all’erario è un euro, un dollaro in meno per la propria collezione. E perché in un gioco dove le regole non sono chiare c’è sempre chi bara.

Note

Thorstein Veblen (1949) , Teoria della classe agiata, Einaudi, Milano