Economisti e giuristi insieme: arte e cultura

di Alessia Panella

Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°3, Gennaio 2019

Se il diritto italiano ha tradizionalmente dedicato un Codice ai Beni Culturali intendendo per essi le cose mobili ed immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, archivistico, che costituiscono testimonianze aventi valore di civiltà - e si è focalizzato alla loro tutela - oggi il legislatore, in una società che Bauman ha definito liquida, si trova a dover disciplinare beni culturali per cosi dire più liquidi. Certamente oggi il legislatore ed il professionista si confrontano con un concetto di cultura inteso in senso più lato di quello tradizionale che ricomprende il fenomeno dell’industria culturale.
Il diritto italiano tuttavia in materia culturale non ha saputo sino ad oggi «adattarsi» al mutare dei tempi e della realtà degli operatori del settore.
Anche il fine dell’agire sia pubblico che privato nel settore cultura è profondamente mutato nel tempo.
Mentre all’epoca della formulazione della legge n. 1089 del 1939 (cd Legge Bottai sui Beni Culturali) l’agire pubblico in materia culturale è sempre stato rigidamente teso alla tutela dei beni nel senso di conservazione (cd. tutela statica) oggi si è compreso che la loro tutela può essere pienamente perseguita solo affiancando alla conservazione la valorizzazione intesa anche come fruizione.
Già la miglior dottrina degli anni 70 (Merusi e Sandulli) sosteneva che i beni culturali sono essenziali per promuovere lo sviluppo culturale. Detto sviluppo era anche il fine dell’agire dello straordinario imprenditore e uomo di cultura Adriano Olivetti il quale poneva nelle sue iniziative sociali e culturali straordinarie risorse. E ciò per due motivi. Uno era un motivo morale e sociale: le condizioni di lavoro che la sua «fabbrica» offriva erano un modo per risarcire i lavoratori per tutto quanto loro davano ad essa. Un secondo motivo era politico: creare una «impresa di tipo nuovo». Egli scriveva: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là de ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione nella vita di una fabbrica?». Oggi la società ha fortemente recepito detto concetto e il settore cultura sta assumendo sempre maggiore importanza alla luce del fatto che si è capito che il futuro di un popolo sta nella valorizzazione della cultura. Vi è quindi un sempre crescente interesse sia pubblico che privato alla valorizzazione e fruizione dei beni culturali intesi in senso lato.
Tuttavia, nonostante ciò, sino ad oggi il settore culturale è stato poco esplorato dai professionisti e anche la realtà culturale e del settore dell’arte pone dei nuovi problemi concreti che necessitano, per essere risolti, di un gruppo di lavoro di professionisti - Avvocati, Commercialisti e Notai - esperti in materia.
Per questo motivo è stato istituito il Tavolo Arte e Cultura presso l’Associazione Economisti e Giuristi Insieme con il fine innanzitutto di consentire alle nostre professioni di assumere in materia il ruolo di interlocutori del legislatore e di partecipare alla stesura di norme e regolamenti. Non solo, è inoltre, fondamentale che i professionisti appartenenti ai tre Ordini si riapproprino del necessario ruolo sociale che li contraddistingueva in passato e che consentiva di essere volano per la diffusine della cultura. Essa infatti spesso è stata intesa o come «cosa per pochi» o al contrario cosa per tutti ma in modo semplicistico. Invero Bernini scaraventava Dio per terra ma, al contempo, innalzava la terra al cielo (Sandro Chia). Ecco il ruolo oggi dei professionisti che vedono nella cultura il futuro anche della professione.
L’attività del tavolo di lavoro è pertanto focalizzata sul duplice obiettivo della formazione dei colleghi in materia culturale - al fine di sensibilizzarli all’impegno in materia e, perché no, al fine di far loro comprendere che il settore culturale è anche un’opportunità professionale («con la cultura si mangia!!!») - e dell’individuazione degli interventi normativi necessari ed urgenti per risollevare le sorti del settore culturale ed artistico italiano per giungere alla stesura di un testo di legge da proporre al legislatore.
Gli interventi più urgenti sono senza dubbio quello in materia fiscale oltre che quello concernente la circolazione delle opere d’arte.
Dal punto di vista fiscale si rende innanzitutto necessario abbassare dal 10% al 5 % l’aliquota IVA applicata alle importazioni delle opere d’arte, sul modello francese. Questo consentirebbe ai galleristi Italiani e alle Fiere Italiane di essere più competitivi a livello internazionale. É necessario, inoltre, diminuire l’IVA sulle cessioni da artisti, eredi e legatari al 5%.
È poi necessario dare certezza alla normativa che esenta dalla tassazione la compravendita di opere d’arte tra privati. L’attuale formulazione infatti fa venir meno la predetta esenzione allorquando il privato ponga in essere attività di tipo commerciale o speculativa, anche se non prevalente, non organizzata e saltuaria. Tuttavia il confine di demarcazione tra attività privata e commerciale è sottile e, nell’attuale formulazione, dipende da molte variabili ovvero da parametri e indici altamente discrezionali e spesso lontani dalla realtà delle cose. Per esempio, a torto, sono ritenuti indici di attività speculativa il prestito di opere a musei o sinanco il loro restauro. L’incertezza di detti parametri scoraggia le iniziative private ed il mercato.
Ancora, è fondamentale rivedere la normativa fiscale sulle donazioni al fine di favorire sgravi fiscali alle imprese e ai collezionisti che donino ai musei pubblici e/o privati. Il modello statunitense infatti vede i grandi musei vivere e/o sopravvivere con le donazioni di importanti mecenati. In questo senso si può confrontare la realtà italiana con la Fondazione Guggenheim che in Italia vede situato il Museo Veneziano dedicato a Peggy e che accanto alla Fondazione Privata Statunitense vede dei trust che consentono di lavorare con il founding.
In tema di circolazione dei beni culturali sia mobili che immobili la normativa è da rivisitare in modo sistematico.
Il Codice dei Beni Culturali senza dubbio protegge, e a ragione, il patrimonio limitando la possibilità di vendere certe opere all’estero. Tuttavia accanto all’esigenza pubblica di preservare un patrimonio culturale italiano senza pari vi è l’esigenza parimenti pubblica di ogni persona, anche non italiana, di godere di «tesori dell’umanità» ed inoltre l’esigenza del privato all’esercizio di tutte le facoltà connesse alla proprietà privata, ivi compresa la vendita di opere fuori dai confini nazionali laddove vi siano capitali che possono accedere non solo all’acquisto ma soprattutto al restauro e alla fruizione.
Il nostro sistema normativo della notifica così com’è attualmente formulato vincola le opere a rimanere in Italia ed in possesso o dello Stato o di privati che spesso non sono in grado di conservarle e restaurarle. Come scritto nell’incipit dell’articolo, la tutela non è solo conservazione ma va intesa pure come valorizzazione e fruizione. La valorizzazione quindi è principio base dell’agire in materia culturale. Un legislatore attento pertanto avrebbe l’obbligo di modificare la normativa esistente in materia di circolazione dei beni culturali mobili (in punto di notifica e prelazione) poiché detta normativa non solo mortifica i collezionisti ed il mercato italiano ma pure perché è contraria al fine principe della valorizzazione a cui tutto il testo del Codice dei Beni Culturali tende. Diversamente argomentando si perverrebbe alla conclusione che il Codice dei Beni Culturali, nonché la Carta Costituzionale, intenderebbero conservare in Italia beni chiusi in vecchi armadi polverosi di magnifici palazzi o in caveau anziché favorire la valorizzazione e la fruizione di opere splendide patrimonio dell’umanità. Quante opere del valore della Gioconda sono rinchiuse in umidi magazzini di musei o case private, senza possibilità economica di poter accedere al restauro?
Senza tornare alla trattazione della notifica, a cui si rimanda al numero zero di questa rivista, si ricorda che l’art. 65 del Codice del Beni Culturali presume l’interesse culturale dei beni di proprietà privata che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni. Essi sono sottratti all’esportazione sino alla conclusione del procedimento di dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante e solo in caso di attestazione di mancanza di interesse possono essere venduti all’Estero, previo il rilascio dell’Attestato di Libera Circolazione. Tale autorizzazione può essere negata, con motivato giudizio, dall’Ufficio Esportazione. Il diniego comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse, che si conclude con la notifica1.
In materia è intervenuta la modifica cd. Franceschini con la legge 4 agosto 2018 n. 124 che, tra le polemiche, ha apportato alcune riforme, per esempio ha innalzato la soglia delle opere notificabili da 50 a 70 anni, demandandone l’attuazione a dei decreti attuativi.
La nuova normativa (art. 175 Codice dei Beni Cultuali) ha introdotto una semplificazione per l’esportazione o la spedizione di opere di autore defunto che abbiano meno di 70 anni o che siano di valore inferiore ad € 13.500,00. Nell’attuale formulazione legislativa è sufficiente che l’interessato presenti un’autocertificazione al Competente Ufficio di Esportazione che attesti che le cose da trasferire all’estero rientrano tra quelle per le quali non è richiesta l’autorizzazione (cd. Autocertificazione per l’Arte Contemporanea). La Soprintendenza locale in dogana può ancora comunicare l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse (una sorta di pre-notifica), da concludersi entro 60 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione ma solo se l’opera presenta un interesse eccezionale.
La vaghezza della normativa italiana in materia, esistente anche dopo la citata riforma, che da un lato per certe opere prevede una semplice autocertificazione all’esportazione e dall’altro assoggetta la «definitività» della predetta esportazione alla mancata comunicazione di una cd. prenotifica pesa come un macigno sulla circolazione dei beni culturali italiani. Infatti la prenotifica è tutt’oggi subordinata al possesso dell’opera di una qualità generica quale l’interesse eccezionale. L’adozione del Decreto Ministeriale n. 246 del 17 maggio 2018, decreto di attuazione alla legge 124/2017, ha ridefinito la potestà dello Stato di dichiarare di interesse eccezionale opere d’arte di artisti non viventi realizzate da meno di 70 e da oltre 50 anni. Tuttavia tale buona intenzione di ridurre la discrezionalità degli Uffici, che costituisce uno dei grandi mali della normativa sulla circolazione, non è sufficiente.
La dimostrazione di quanto la burocrazia e l’incertezza della normativa italiana pesi sulle sorti della circolazione delle opere italiane si è avuta nel caso dal quadro “Grande Legno e Rosso” di Alberto Burri. Detta opera (realizzata da meno di 70 anni) è legittimamente uscita dal territorio italiano sulla base di un’autocertificazione richiesta da una nota famiglia milanese proprietaria del bene per essere venduta all’asta di Phillips di New York del 15 novembre 2018, con una stima di 10-15 milioni di dollari. Ciò è avvenuto nel rispetto dell’attuale formulazione dell’art. 175 del Codice dei Beni Culturali. Ebbene, essa è rimasta invenduta contro tutte le previsioni dei giorni precedenti. Sulle sorti dell’asta hanno pesato le polemiche apparse sulla stampa tricolore che hanno contrapposto «esperti» del settore. La querelle riguarderebbe il fatto che nel caso di specie sarebbe stata, in senso atecnico, elusa la norma laddove l’Autocertificazione è stata presentata all’Ufficio della Soprintendenza veneziana anziché a quello lombardo, competente per territorio, che per taluni «esperti» avrebbe comunicato la prenotifica. Ciò quasi a mettere in discussione il fatto che i differenti uffici si comportino in modo diverso. Sicuramente i timori che una volta acquistata l’opera e riportata in Italia essa potrebbe essere notificata ha dissuaso i compratori.
Nuovamente l’incertezza delle norme italiane ha creato sfiducia nel nostro paese. Quindi l’adozione dei decreti di attuazione alla legge 124/2017 ha in parte ridotto la discrezionalità degli uffici competenti, che costituisce uno dei grandi mali della normativa sulla circolazione, tuttavia tanto è da fare.
Appare evidente come la normativa avente ad oggetto la circolazione dei beni culturali vada riformata in modo unitario riducendo la discrezionalità dei vari uffici locali nel procedimento di dichiarazione di interesse. E ciò si può fare dotando gli uffici di esportazione di un’elencazione, per quanto non esaustiva, degli autori che hanno indubbiamente creato opere di interesse culturale importante o eccezionale (elenco redatto in collaborazione con gli archivi dei predetti autori o, qualora trattasi di arte antica, con gli esperti di riferimento i quali hanno la mappatura delle opere di interesse).
Infine, una normativa da mutare è quella avente ad oggetto l’obbligo di acquisto da parte dello Stato di opere notificate e/o di cui è chiesta l’esportazione per la vendita. Per quanto concerne gli altri paesi europei, nel Regno Unito lo Stato ha il diritto di prelazione sull’acquisto di un’opera per cui è stata richiesta l’esportazione. Nell’ipotesi in cui il Ministero ne riconosca l’importanza per il patrimonio nazionale lo Stato ne propone l’acquisto, che deve essere esercitato entro 6 mesi. In mancanza di offerte statali l’opera si può esportare. In Francia l’esportazione dei tesori nazionali è vietata ma lo Stato ha un termine di 30 mesi per presentare un’offerta d’acquisto. Se non la formula deve liberare il bene. In Germania qualora l’esportazione di un bene culturale sia bloccata lo Stato non ha l’obbligo di acquistare l’opera ma deve aiutare il proprietario con agevolazioni fiscali.
In Italia si potrebbe pensare a forme di collaborazione specifiche con privati per esempio prevedendo benefici fiscali per i privati che offrano allo Stato il capitale necessario per l’acquisto delle opere da notificare. Inoltre si possono introdurre detrazioni fiscali a favore dei proprietari che restaurino dette opere o a favore di chi consenta la fruizione pubblica delle predette opere.
Dette ed altre riforme in materia culturale non sono procastrinabili in un paese, come quello italiano, il quale oltre a possedere una grande tradizione culturale si caratterizza per un collezionismo diffuso.
La redazione di un testo di riforma sarà oggetto del lavoro del Tavolo Arte e Cultura nell’anno 2019.

Alessia Panella è avvocato. Si occupa di diritto civile e ha lavorato come avvocato specializzato in contratti di appalto pubblici e privati presso cooperative ed aziende private. Si occupa di contrattualistica nell’ambito del diritto dell’arte, vantando tra i propri clienti galleristi e artisti, essendo lei stessa appassionata collezionista. Ha insegnato Diritto dell’Arte e Diritto d’Autore presso lo IED di Venezia, pubblica articoli in giornali e riviste specializzate in Diritto dell’Arte. Coordina il gruppo di lavoro Arte e Cultura dell’Associazione Economisti e Giuristi Insieme costituita dal Consiglio Nazionale del Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, dal Consiglio Nazionale Forense e dal Consiglio Nazionale del Notariato. Fa parte del Forum per l’Arte Contemporanea creato presso il Museo Pecci di Prato. È componente del consiglio dell’AIMIG (Amici Italiani del Museo di Israele di Gerusalemme).

Note

(1) Cfr. Alessia Panella, Viva l’Arte è Viva in AES n. 0, Aprile 2018, pagine 27 e ss.