Il messale del 1370 della Cattedrale di Trani

di Giuseppe Tempesta

Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°7, Gennaio 2020

Nei primi anni ‘70 fu trafugato all’Arcidiocesi di Trani un prezioso Messale del 1370, scritto in carattere gotico e riccamente miniato, custodito presso l’Archivio capitolare della Cattedrale.
Il Messale, regalato alla Diocesi di Trani dalla famiglia napoletana, Baroni San Severino, fu prestato per una mostra alla Soprintendenza bibliografica di Bari e mai più restituito. Le prime indagini sul trafugamento sono state svolte dalla Procura della Repubblica di Fermo, unitamente al furto di altri due Manoscritti, Libro Maniscalcaria o Trattato dei cavali e Officium Beatae Verginis Mariae o Libro delle ore, sottratti illecitamente alla Biblioteca dei Gerolamini di Napoli; successivamente le indagini sono state eseguite dalla Procura della Repubblica di Bari.
Le indagini hanno consentito di accertare che il Messale era stato esportato illecitamente nel Regno Unito nel 1979 e acquistato in buona fede da un imprenditore che opera da numerosi anni in Russia.
Nel 2000 l’italo-russo ha consegnato i Manoscritti ad una Casa d’aste, perché fossero venduti. Prima che il Messale fosse posto in vendita, l’Arcidiocesi di Trani ha confermato alla Casa d’aste la proprietà dell’opera d’arte e ne ha chiesto la restituzione.
Ne è derivata una difficile controversia dinanzi alla High Court of Justice di Londra, al fine di individuare il legittimo proprietario del Messale e dei due Manoscritti appartenenti alla Biblioteca dei Gerolamini di Napoli.
La difficoltà emergeva dalle lacune delle convenzioni internazionali che non consentono l’applicazione coordinata delle norme degli Stati coinvolti, Paese di provenienza del bene e Paese in cui si trova il bene.
L’Arcidiocesi, unitamente allo Stato italiano, si è costituita in giudizio il 6 novembre 2008, chiedendo la restituzione del Messale.
La motivazione profonda che ha mosso l’Arcidiocesi di Trani a investire nella ricerca di una soluzione giudiziaria per il recupero del Messale è stata la consapevolezza che la cultura e la mediazione culturale non sono affatto trascurabili per la Chiesa se «è proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umana se non mediante la cultura»1.
Questa consapevolezza ha guidato lo svolgimento dell’azione legale, perché in operazioni di recupero di beni culturali forte è, non solo l’affermazione dei principi legali, ma anche la tutela della valenza etica e morale, propria del bene culturale. Tutti i cittadini del mondo sono titolari di una proprietà morale, piena, nel senso della capacità di godere di questi beni a fini di stimolo del rafforzamento del legame che un bene culturale religioso porta ai Cittadini.
Queste le motivazioni che hanno sostenuto la ricerca tenace di un accordo stragiudiziale per ottenere la restituzione dei Manoscritti ai legittimi proprietari, fino al punto da assumere scelte difensive ardite, al cui esito l’acquirente in buona fede e la Casa d’aste hanno firmato l’accordo stragiudiziale per la restituzione dei Manoscritti ai legittimi proprietari, con la conseguente estinzione del giudizio. Il 12 settembre 2011 i Manoscritti sono stati consegnati presso l’Ambasciata italiana a Londra, consentendo così al Gruppo tutela patrimonio archeologico del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma di eseguire il decreto di sequestro emesso dalla Procura della Repubblica di Bari.
Il 16 settembre 2011 la Procura ha consegnato il Messale all’Arcidiocesi di Trani, che è dunque tornato ad impreziosire il suo patrimonio storico-artistico e librario e reso fruibile alla comunità ecclesiale, civica e scientifica. Il recupero del Messale costituisce l’occasione propizia per focalizzare l’attenzione sulla circolazione dei beni culturali in ambito internazionale.
Gli sforzi della comunità internazionale per fronteggiare il fenomeno, divenuto assai imponente, del traffico illecito dei beni culturali si sono concretizzati il 14 novembre 1970 a Parigi, con la sottoscrizione, della prima convenzione recante un impianto sistematico sui mezzi per impedire e vietare l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illecito dei beni culturali2.
Nella metà degli anni ’80, il Segretario generale dell’UNESCO invitò l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, UNIDROIT, con sede in Roma, a elaborare uno strumento convenzionale volto ad organizzare sistematicamente la disciplina in materia di restituzione dei beni culturali trafugati, con particolare riferimento agli aspetti giuridici emersi e non risolti dalla Convenzione del 1970. All’esito dello studio è stato elaborato il progetto di «Convenzione sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati»3.
L’Unione Europea ha adottato la Direttiva 2014/60 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa alla restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro, che al Considerando n. 16 prevede: «Nelle conclusioni sulla prevenzione e il contrasto dei reati a danno dei beni culturali, adottate il 13 e il 14 dicembre 2011, il Consiglio ha riconosciuto la necessità di adottare misure volte a rafforzare l’efficacia della prevenzione della criminalità relativa ai beni culturali e della lotta contro tale fenomeno. Ha raccomandato alla Commissione di prestare sostegno agli Stati membri per tutelare in modo efficace i beni culturali al fine di prevenire e combatterne il traffico illecito e, ove opportuno, di promuovere misure complementari. Inoltre, il Consiglio ha raccomandato agli Stati membri di prendere in considerazione la ratifica della Convenzione UNESCO (...) firmata a Parigi il 17 novembre 1970 e della Convenzione dell’UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati firmata a Roma il 24 giugno 1995».
L’invito rivolto dalla Direttiva 2014/60/UE4 agli Stati membri a ratificare le Convenzioni internazionali, dimostra quanto sia difficile il cammino verso un pieno contrasto al traffico illecito dei beni culturali. La Direttiva, come già la Direttiva 93/7, consente allo Stato membro di presentare una domanda di restituzione del bene culturale uscito illecitamente dal suo territorio, contro il possessore o il detentore, dinanzi allo Stato membro ove il bene si trova.
La vicenda del recupero del Messale pone in evidenza i profili di criticità della disciplina internazionale diretta ad assicurare la tutela dei beni culturali illecitamente trafugati o esportati, in quanto l’esportazione illecita del Messale è avvenuta nel 1979, pertanto derivano alcune conseguenze rilevanti:
•   Impossibilità di azionare la domanda di restituzione dei beni culturali illecitamente esportati, che può essere esercitata dallo Stato esclusivamente per i beni culturali illecitamente usciti dal territorio italiano dal 1° gennaio 1993, ai sensi della Direttiva 93/7 e della Direttiva 2014/60;
•   Impossibilità di far valere le Convenzioni internazionali in quanto il Regno Unito ha ratificato la Convenzione UNESCO nel 2002.
Evidenti sono, dunque, i profili di difficoltà delle azioni di restituzione, a maggior ragione nel caso di trasferimento illecito effettuato in epoca precedente al 1993, in assenza di convenzioni internazionali o accordi bilaterali. Infatti, la maggior parte delle restituzioni avviene sulla base di accordi stragiudiziali.
L’Unione Europea ha introdotto una disciplina soltanto parziale dei beni culturali, limitandosi a fissare le regole in materia di circolazione dei beni e di restituzione di quelli illecitamente trasferiti, lasciando immutate le competenze degli Stati membri in ordine alla definizione della nozione e alla conseguente identificazione del bene culturale. A maggior ragione ogni Stato membro tutela con le sue leggi e la sua pubblica Amministrazione i beni culturali pubblici e privati, li valorizza e li apre alla fruizione comune, in queste tre funzioni consistendo i compiti per legge attribuiti allo Stato: tutto ciò, del resto, è frutto di una precisa scelta di rispetto del principio di sussidiarietà verticale. Appare significativo il principio generale affermato, almeno in senso negativo, dall’ordinamento italiano in materia di circolazione internazionale, principio che tiene conto della peculiarità dei beni culturali, secondo il quale detti beni «non sono assimilabili alle merci»5.
Anche per il diritto dell’Unione Europea il principio della libera circolazione delle merci recede rispetto ad interessi nazionali eccezionalmente ritenuti meritevoli di tutela, tra i quali la conservazione e protezione del patrimonio «artistico, storico, archeologico nazionale» degli Stati membri6 (art. 36 TFUE).
Ogni bene culturale muove lo spirito di coloro che hanno la forza di amare e ricercare i migliori valori dell’uomo, trascendenti gli interessi soltanto economici. «La terra dei barbari non è quella che non ha conosciuto l’arte, ma quella che disseminata di capolavori – non sa né custodirli, né apprezzarli»7 .
L’obiettivo di una effettiva tutela dei beni culturali può essere conseguito soltanto attraverso una adeguata normativa coordinata a livello sia statale sia internazionale.

Giuseppe Tempesta è avvocato, esperto in Diritto Amministrativo.

Note

(1) Vaticano II, Gaudium et Spes
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_
gaudium-et-spes_it.html
111
(2) Convenzione concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione,
esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali del 14 novembre 1970 http://www. beniculturali.it/mibac/multimedia/UfficioStudi/documents/1267532164900_convenzione_ Unesco_1970.pdf
(3) Convenzione dell’Unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati del 24 giugno 1995 https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/UfficioStudi/documents/1268828710167_Convenzione_ Unidroit.pdf
(4) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32014L0060&from=EN
(5) art. 64 bis, Codice dei beni culturali e del paesaggio.
https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/04042dl.htm
(6) art 36 Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione,
all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di
protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria,
né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
(7) Proust M. (1927), A la recherche du temps perdu.