Is this the life we really want?

di Fabrizio Di Marzio

Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°0, Aprile 2018

1.Vorrei svolgere qualche osservazione sul tema - peraltro scarsamente frequentato dalla giurisprudenza - della illecita riproduzione delle opere di arte visuale. L’occasione è fornita dalla recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza 26 gennaio 2018, n. 2039) in materia di plagio di un dipinto di arte contemporanea, che ha censito e confermato la giurisprudenza formatasi in materia, e dall’ordinanza del tribunale di Milano del 24 luglio 2017 resa nella controversia che ha visto contrapposti l’artista concettuale Emilio Isgrò e la casa discografica Sony per le rappresentazioni grafiche che accompagnano l’opera musicale di Roger Waters intitolata Is this the life we really want?, ritenute una illecita riproduzione dell’opera di Isgrò intitolata Cancellatura risalente al 1964. Oltre che illecitamente riproduttiva, come si legge nella parte introduttiva del provvedimento, anche di altre «successive opere dell’artista». Vorrei esaminare la pronuncia del tribunale alla luce dei principi ribaditi dalla Corte di Cassazione, per dire qualcosa sul problema della riproduzione illecita delle opere di arte visuale.
La particolarità del caso deciso dal tribunale di Milano è proprio nella formulazione della domanda giudiziale; giacché non si richiede di verificare se sia stata realizzata una illecita riproduzione di un’opera visuale determinata, ma di una serie non determinata di opere visuali: le cosiddette «cancellature» eseguite da Isgrò negli anni sessanta. Si legge, infatti, a pagina 3 dell’ordinanza: «Il ricorrente Emilio Isgrò ha chiesto, tra le altre misure, l'inibitoria alla commercializzazione per essere state le sue opere e, in particolare, l'opera Cancellatura del 1964 riprodotte illecitamente sulla copertina e nel materiale accompagnatorio del supporto fonografico CD e disco in vinile».
La particolarità della impostazione della domanda non è superata dal dato obiettivo secondo cui la discussione della controversia e la decisione si sarebbero poi concentrate - secondo quanto risulta dalla lettura dell’ordinanza del tribunale - sul raffronto tra la copertina della confezione dell’opera musicale e l’opera visuale di Isgrò intitolata Cancellatura realizzata nel 1964. Ciò non toglie infatti nulla alla obiettiva portata della domanda, relativa al confronto tra la rappresentazione ritenuta illecita riproduzione e – piuttosto che un’opera visuale illecitamente riprodotta - una serie di opere visuali. Come se una specifica immagine potesse essere illecitamente riproduttiva non – come imporrebbe la logica - di un'altra specifica immagine, bensì di una numerosa serie di distinte opere visuali: distinte, pertanto, non solo rispetto alla immagine ritenuta illecita riproduzione, ma anche le une rispetto alle altre. Come se la copertina del disco potesse essere, da sola, illecita riproduzione di una serie di opere diverse l’una dall’altra.
2. L’argomentazione del tribunale si svolge in più passaggi che possono essere così sintetizzati.
2.1. Si ricorda in premessa che l’ar. 2575 c.c. e la legge sul diritto d’autore fanno riferimento ad opere dell’ingegno destinate alla rappresentazione tutelando – nelle forme del diritto d’autore - l’opera in quanto rappresentazione ed espressione di idee e sentimenti; cosicché oggetto di protezione non sono l’idea o il contenuto implicati nell’opera, bensì la rappresentazione in quanto tale; l’espressione di quell’idea e di quel contenuto; la loro formalizzazione nell’opera visuale. Il tribunale accenna anche alla ricorrente formulazione normativa secondo cui la protezione del diritto d’autore copre le espressioni e non le idee, i procedimenti o i metodi di funzionamento o ancora i concetti matematici in quanto tali (nella loro oggettività); e cita l’art 9 n. 2 TRIPS richiamando inoltre diverse direttive comunitarie e la normativa di attuazione. Pertanto, conclude sul punto il tribunale, oggetto della tutela non è l’idea del cancellare o l’atto materiale del cancellare - i quali in sè stessi considerati non hanno nessuna funzione, né estetica né artistica - ma è esclusivamente la forma esteriore dell’opera dell’artista; il suo modo di rappresentare la realtà e di comunicare idee e sentimenti sulla scorta di una ben determinata idea e di una precisa operazione materiale. Le quali, in questo caso, determinano l’operazione del cancellare e il risultato artistico che ne discende.
Nella preoccupazione di chiarire ulteriormente questo punto decisivo, il tribunale richiama la differenza tra tutela brevettuale e tutela del diritto d’autore: mentre l’invenzione, per essere brevettabile, deve connotarsi per novità e attività inventiva volte alla soluzione originale di un problema tecnico, invece il diritto d’autore riguarda, piuttosto che idee e contenuti, rappresentazioni. Mentre pertanto nella materia dei brevetti l’attività creativa consiste nella ideazione, nella materia del diritto d’autore consiste nell’espressione di idee e contenuti. Mentre nel primo caso è tutelata l’idea, nel secondo caso è tutelata la sua formalizzazione (e infatti la mera riproduzione di testi e disegni relativi al brevetto non ne costituiscono violazione: art. 66 c.p.i.).
2.2. Presupposto per la tutela autorale è che l’opera abbia un carattere creativo. Il tribunale richiama la giurisprudenza secondo cui è sufficiente che nell’opera sia riscontrabile un tenore creativo pur minimo ma suscettibile di manifestarsi nel mondo esteriore; pertanto la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici (basti citare l’iniziale giurisprudenza, via via confermata in pronunce successive, risalente agli stessi anni dell’opera di Isgrò: Cass. 175/1969; e poi più recentemente, Cass. 5089/2004; Cass. 25173/2011). Su questa premessa il tribunale conclude per il carattere sicuramente creativo della produzione di Isgrò, desumendola dall’ampio riconoscimento negli ambienti culturali specializzati. Curiosamente ritiene di confortare la conclusione sulla creatività dell’opera Cancellatura del 1964 affermando che il tribunale non può che prendere atto del giudizio formatosi nel contesto degli esperti del settore nell’arco di un non breve lasso temporale. Ne discende la conclusione secondo cui il giudice non può sostituire il proprio giudizio estetico a quello consolidatosi è nell’ambiente culturale e artistico di riferimento.
2.3. L’ultimo passaggio argomentativo concerne il raffronto tra le due immagini: quella della copertina del disco e l’opera visuale Cancellatura, 1964.
Sostiene il tribunale che dal semplice accostamento delle due figure emerge come le forme espressive dell’opera di Isgrò - consistente in linee nere tracciate in modo irregolare che lasciano trasparire alcuni segni grafici sottostanti e mettono in evidenza le residue parole risparmiate dalle cancellature - è pedissequamente riprodotta nel materiale grafico del disco di Waters cosicché «Il raffronto dell'opera di Isgrò con il detto materiale raffigurativo che accompagna il supporto fonografico di Roger Waters palesa che la riproduzione ha ripreso pedissequamente la forma espressiva personale dell'artista Isgrò».
Il tribunale non si limita a questo raffronto ma paragona anche l’opera di Isgrò a Poème Optique, opera di Man Ray del 1924. Sottolinea le differenze tra le due opere in quanto nell’opera del 1924 vi sono soltanto segmenti neri dal tratto regolare che variano per lunghezza, senza che di sotto traspaiano tracce di un testo, mentre nell’opera del 1964 le linee nere sono continue e sono connotate nella loro forma espressiva da irregolarità, lasciando trasparire la scrittura a stampa sottostante alla cancellatura e talune parole del testo. Dal che emergerebbe la diversità di fondo tra le due opere.
3. La sentenza di Cassazione del 26.1.2018, n. 2039, ha ribadito come con il termine «plagio» l’art. 171 l. dir. autore definisce il fatto di chi «senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, a) riproduce... un'opera altrui». Prosegue la pronuncia: «il plagio, dunque, si realizza con l'attività di riproduzione - si parla perciò di «appropriazione» - totale o parziale degli elementi creativi di un'opera altrui, così da ricalcare in modo «parassitario» quanto da altri ideato e quindi espresso in una forma determinata e identificabile … Inoltre, non si tutela l'idea in sé, ma la forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che, in quanto tale, rileva ai fini della protezione (Cass. 28 novembre 2011, n. 25173)…Non si parla, dunque, di plagio con riguardo all'idea su cui l'opera si fonda, non proteggendo la disciplina sul diritto d'autore l'idea in sé (ottenibile anche fortuitamente, come autonomo risultato dell'attività intellettuale di soggetti diversi e indipendenti), trovando invece esso il presupposto nell'identità di «espressione», intesa come forma attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di tutela allorché rivesta il carattere dell'originalità e della personalità: le idee per se stesse non ricevono protezione nel nostro ordinamento, ma è necessario che sia identico il modo in cui sono realizzate e cioè la forma esterna di rappresentazione».
4. Svolgo qualche osservazione critica.
4.1. Una prima considerazione riguarda la motivazione sul carattere creativo della produzione artistica di Isgrò nota come Cancellature.
Il tribunale, anziché affrontare la problematica con una argomentazione relativa all’opera (o alla produzione), preferisce prenderla per così dire alla larga, guardando al contesto, al mondo dell’arte contemporanea, in cui l’opera è stata accettata giudicata e fruita. Il tribunale non prende posizione sul carattere creativo dell’opera Cancellatura, affermando che lo stesso è ritenuto sussistente nel mondo dell’arte contemporanea; e ciò sarebbe sufficiente. Il tribunale ritiene perciò di potersi limitare a prendere atto del giudizio formatosi nel contesto degli esperti del settore (cfr. p. 9 del provvedimento). Ne discende che il contenuto argomentativo della pronuncia risiederebbe – sull’elemento della creatività dell’opera – nelle valutazioni rese da esperti e studiosi di cui il giudice si limita a prendere atto.
Il fatto è notevole. Ogni qualvolta in un giudizio cadono questioni tecniche relative a scienze o discipline diverse dal diritto - come peraltro è accaduto anche nel processo che ha suscitato il provvedimento in esame - vengono interrogati esperti del settore, che redigono consulenze. Il giudizio degli esperti non è tuttavia oggetto di una presa d’atto da parte del giudice, ma è pur sempre sottoposto a una valutazione critica. In questo caso la valutazione critica manca del tutto, perché il tribunale si limita ad un semplice rinvio al giudizio degli esperti. Sembra quasi che, secondo il tribunale, quei soggetti e quel giudizio fossero relativi ad un mondo completamente diverso; ad un altro mondo, non frequentato dal tribunale e - come è facile intendere dalla motivazione – nemmeno dai membri della comunità sociale, eccettuato soltanto un ristretto gruppo di iniziati. Invece, come è evidente, il carattere di creatività deve essere obiettivamente percepibile al di fuori di presunte cerchie di esperti, i quali altrimenti avrebbero un ingiustificabile monopolio del giudizio.
Tanto più ciò si dovrebbe comprendere in questo caso, in quanto il disco di Roger Waters non è destinato ad un gruppo di iniziati, né tantomeno a quello specifico gruppo di iniziati che potremmo qualificare come gli «esperti studiosi dell’arte contemporanea»; il disco è rivolto a tutti i consumatori che potessero essere interessati. Ecco allora che tra l'opera che si asserisce riprodotta e l'opera riproducente si scava un fossato incolmabile, appartenendo l'una e l'altra a due contesti diversi e non commensurabili. Ciò avrebbe dovuto sollevare più di una perplessità circa la stessa legittimità del raffronto tra due dati difficilmente commensurabili. La questione è infatti ben diversa da quella che usualmente si pone per il plagio di opere d'arte attraverso l'illecita riproduzione delle stesse in altre opere artistiche (illecita riproduzione pittorica di una pittura, illecita riproduzione scultorea di una scultura e così via).
4.2. La seconda osservazione riguarda la formulazione della domanda attorea per come emerge dal provvedimento. La richiesta di inibitoria della commercializzazione di una immagine riproduttiva non di un’opera, bensì di una serie di opere e più ampiamente di una produzione artistica, è infondata in prospettazione in quanto contiene una insuperabile contraddizione logica. Indiscutibilmente, una singola immagine non può essere riproduttiva di una serie di immagini, ma soltanto di un’altra immagine. Una serie di immagini costituisce un insieme insuscettibile di raffronto con una singola immagine secondo il criterio della riproduzione. La domanda si mostrava inaccoglibile già nella sua formulazione, in quanto sottintendeva un paragone logicamente impossibile. Ci sarebbe allora da chiedersi come mai al tribunale è sfuggita quella che potrebbe apparire un’ovvia implicazione logica. Ma questo è oggetto di una terza osservazione.
4.3. Cito soltanto due esperienze fondamentali nella storia dell’arte moderna: l’impressionismo di Pissarrò, Monet, Van Gogh e così via, e il puntinismo di Seraut, note a qualsiasi persona fornita di una cultura media che conduca la sua vita in occidente.
Gli impressionisti potettero raggrupparsi in un movimento in ragione di un particolare procedimento di formalizzazione dell’immagine pittorica, tesa a catturare l’effetto fuggevole della luce sulle cose, formalizzazione condivisa da tutti gli appartenenti al gruppo (che spesso realizzarono opere non immediatamente distinguibili nella paternità attesa la pregnanza del medesimo procedimento di formalizzazione della rappresentazione seguito da quegli artisti). Nel caso del puntinismo il procedimento di realizzazione delle opere realizzato dagli artisti appartenenti al movimento fu fatto oggetto di una notevole elaborazione teorica, ricca di contenuti anche scientifici volti alla oggettivazione del procedimento, utile al raggiungimento di un risultato poetico condiviso. Anche in questo caso non di rado le opere dei diversi artisti a colpo d'occhio si assomigliano moltissimo pur essendo state realizzate da persone diverse.
Si potrebbe indugiare lungamente. Continuando a considerare fenomeni internazionali, è facile citare i quadri di Matisse e Derain riconducibili alla poetica fauves, frutto di un similare procedimento realizzativo ed estremamente simili a prima vista gli uni agli altri.
Anche in Italia nello stesso svolgere di anni si affermarono movimenti nazionali come la pittura divisionista e la pittura macchiaiola - ossia la pittura per punti e segmenti e la pittura per macchie di colore - che raggrupparono, all’insegna di precisi ed elaborati procedimenti di formalizzazione delle immagini, la produzione di diversi eccellenti artisti. Credo sia evidente che se oggi un artista volesse dipingere un quadro secondo la tecnica degli impressionisti (esposta anche in manuali pittorici facilmente reperibili sul mercato) o secondo la tecnica macchiaiola o divisionista non realizzerebbe opere classificabili come illecite riproduzioni di precedenti produzioni artistiche riferite a quegli specifici movimenti d’avanguardia. La stessa giurisprudenza ha più volte chiarito che non importa la confondibilità tra due opere, secondo lo schema di giudizio d'impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell'impresa, ma la riproduzione illecita di un'opera da parte dell'altra (Cass. 15 giugno 2012, n. 9854; 27 ottobre 2005, n. 20925).
4.4. Questa intuitiva conclusione si fonda su due ragioni. La prima è che, come già ampiamente esposto, non sarebbe mai possibile raffrontare con pertinenza logica una singola opera ad una intera produzione di uno o più artisti per verificare il giudizio sulla riproduzione della produzione nell’opera.
La seconda ragione è che la comparazione deve riguardare la formalizzazione di due precise opere e non può limitarsi a verificare se entrambi quelle opere siano state realizzate o meno secondo la medesima procedura di formalizzazione. Come diffusamente ripetuto sia nella giurisprudenza citata nel provvedimento in esame che nello stesso provvedimento, l’oggetto del giudizio non è un’idea o un atto esecutivo - ossia una tecnica realizzativa di un’opera (nel caso in esame la tecnica della cancellatura, in quello dei macchiaioli la pittura per macchie, o in quello dei puntinisti la pittura per giustapposizione di punti di colore puro) - ma è l’espressione che discende infine dall’utilizzo della tecnica medesima. Occorre pertanto prescindere dalla tecnica di formalizzazione della rappresentazione ed esaminare le due opere per vedere se una di esse costituisce l’illecita riproduzione dell’altra. Perché ciò accada deve trattarsi di un’opera che riproduca pedissequamente la forma dell’altra, secondo un giudizio di ampia sovrapponibilità delle due rappresentazioni artistiche. Il ruolo giocato nel giudizio dalla tecnica di realizzazione dell’immagine è molto importante. Una tecnica basica come la cancellatura con un pennarello delle parole stampate sulla pagina di un libro o di un manifesto è molto diversa nella complessità ideativa ed esecutiva da elaborate tecniche pittoriche come quelle appena citate. Per conseguenza il risultato di similitudine nel primo caso e nel secondo ordine di casi discende da cause contrapposte. L’aver seguito un procedimento estremamente banale, povero di implicazioni teoriche in punto di formalizzazione e privo di qualsiasi difficoltà esecutiva da un lato; l’aver seguito procedimenti ricchi di implicazioni teoriche in punto di formalizzazione e connotati da una difficoltà esecutiva media e a volte alta nell’altro caso. Il giudizio sul carattere riproduttivo dell’immagine è inversamente proporzionale alla complessità in termini di presupposti teorici ed in termini di difficoltà esecutive pratiche della tecnica di formalizzazione dell’immagine. L’esecuzione di un gesto estremamente semplice implica una ricchezza della forma rappresentativa imparagonabile al caso precedente. La rassomiglianza tra due quadri impressionisti o divisionisti o puntinisti è frutto di un notevole numero di presupposti teorici e di atti esecutivi compresenti nei due casi; al contrario la cancellatura delle pagine di un libro è di una imparagonabile immediatezza e facilità esecutiva rispetto alle prime. Per conseguenza ha una capacità connotativa della forma espressiva alquanto ridotta. Ecco perché la forma espressiva della cancellatura, consistendo in una semplice cancellatura, è per definizione molto debole. Il che avrebbe dovuto indurre il tribunale ad una ben più profonda meditazione circa la forza espressiva oggettiva dell’operazione della cancellatura posta in essere nell’opera di Isgrò e nella copertina del disco, così da revocare in dubbio la stessa conclusione circa la illecita riproduzione dell’opera dell’artista italiano.
4.5. Se poi si confrontano la copertina del disco e l’opera citata in sentenza, si nota facilmente che si tratta di due rappresentazioni assimilabili esclusivamente per la tecnica realizzativa, ma diverse nella espressione nel contenuto rappresentato; si nota insomma quella rassomiglianza che è possibile trarre dall’osservazione di due quadri impressionisti o puntinisti o divisionisti simili tra loro, ma non per questo sovrapponibili e quindi suscettibili di un fondato giudizio di riproduzione del uno rispetto all'altro.
Visivamente le opere frutto entrambe di cancellature di un testo con un pennarello sono molto diverse. L’opera di Isgrò è composta di cancellature che coprono esclusivamente le parole e le lettere del testo scritto, senza invadere gli spazi vuoti di testo. In un rigo, solo parzialmente cancellato, si leggono le parole «dichiaro di essere Emilio Isgrò». Nella copertina del disco, invece, l’operazione è molto più accattivante. Le cancellature a pennarello lasciano scoperte le estremità delle lettere di cui si compone il testo, accentuando la manualità insita nell’operazione e connotando il risultato di una cifra artigianale nonostante la meccanicità del procedimento seguito. La cancellatura, in altri termini, è più irregolare e dunque maggiormente artistica, e si mostra alquanto libera da condizionamenti, non rispettando l’estensione delle parole. Il testo «is this the life we really want» non è scritto in un unico rigo, bensì in ben sei righi parzialmente cancellati, in uno spazio complessivo di otto righi. Cosa che conferisce all’immagine un notevole effetto di movimento che contribuisce all’estetica dell’opera.
Tutto quanto le due immagini hanno in comune è esclusivamente la tecnica della cancellatura parziale del testo per ricavare dallo stesso una frase di senso compiuto circondata da cancellature. È questa, come dovrebbe apparire in maniera evidente, una semplice tecnica di realizzazione di una immagine, e non una specifica espressione artistica.
Al di là della tecnica usata il contenuto visivo è molto diverso, le frasi sono scritte in lingue diverse ed hanno un significato profondamente diverso. Nessuna confusione sarebbe possibile. Ciò che pertanto ha indotto il tribunale alla sua decisione è stato un errore di valutazione delle immagini. Come anche a volte la stessa motivazione tradisce (per la scelta delle parole) il tribunale non ha paragonato due opere; ha invece paragonato l'opera nella copertina del disco con la tecnica seguita da Isgrò per realizzare una serie di opere nessuna delle quali coincide o può ritenersi profondamente simile a quella della copertina del disco.
Osserva, in tema, Cass. 2039/2018: l’opera che costituisce una illecita riproduzione deve «essere priva di un cd. scarto semantico, idoneo a conferirle rispetto all'altra un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia dall'opera plagiata mutuato il cd. nucleo individualizzante o creativo (cfr. Cass. 19 febbraio 2015, n. 3340); in sostanza, è necessario che l'autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell'opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile; al contrario, è esclusa la sussistenza del plagio, allorché la nuova opera si fondi sì sulla stessa idea ispiratrice, ma si differenzi negli elementi essenziali che ne caratterizzano la forma espressiva».
Il tribunale, discostandosi da questo indirizzo che formalmente dichiara di seguire, ha pertanto posto ad oggetto del suo giudizio la forma espressiva in se stessa, la medesima tecnica di cancellatura parziale di un testo in modo da ricavarne una frase finita, e ha ritenuto – contrariamente a quanto dispone la legislazione richiamata nello stesso provvedimento - tale tecnica insuscettibile di essere seguita da soggetti diversi da Emilio Isgrò. Su questa linea, dovrebbe ritenersi che la tecnica del dripping – ossia una particolare forma espressiva – non possa essere attuata perché esclusiva di Jackson Pollock.
Come si vede, diversamente da quanto annunciato in motivazione, il tribunale non ha paragonato due espressioni o due rappresentazioni bensì una rappresentazione e una tecnica esecutiva, ossia due elementi incomparabili. Ha poi ritenuto illecito l’utilizzo di una tecnica, con ciò disattendendo la disciplina legale di settore. Ha sommato questo errore giuridico circa l’inappropriabilità di idee e contenuti (costitutivi della tecnica della cancellatura) all’errore logico di paragonare un’opera ad una produzione.
4.6. Prosegue Cass. 2039/2018: «la verifica sulla riproduzione va operata sulla base del riscontro delle difformità dalle caratteristiche essenziali, mentre non sono sufficienti originalità di mero dettaglio dell'opera plagiaria (Cass. 15 giugno 2012, n. 9854; 28 novembre 2011, n. 25173; 27 ottobre 2005, n. 20925; 10 marzo 1994, n. 2345; 10 maggio 1993, n. 5346): dunque, non sussiste il plagio qualora due opere, pur avendo in comune il cd. spunto o motivo ispiratore, differiscano quanto agli ulteriori elementi caratterizzanti ed essenziali, permanendo viceversa il plagio anche quando esso sia «camuffato» (o «mascherato») mediante varianti solo apparenti». Nel caso in esame lo spunto o motivo ispiratore della cancellatura parziale di un testo è l’unico punto di collegamento tra le due immagini poste a confronto; il che avrebbe dovuto indurre il tribunale ad un giudizio opposto a quello preso. Eppure la tutela giuridica concerne il risultato formale piuttosto che il presupposto concettuale, ossia l’idea. Ecco dunque una ulteriore prova di come ciò che il tribunale abbia inteso tutelare sia stata l’idea di Isgrò e non la realizzazione rappresentativa di quell’idea in un’opera dell’artista. In altre parole, quanto la legge vieta piuttosto che ciò che la legge consente.
Traspare tuttavia, nella pronuncia, la difficoltà di misurarsi con un argomento vissuto come sfuggente, considerata l’alterità della produzione dell’arte contemporanea rispetto all’esperienza quotidiana della vita.
Per di più Isgrò è – secondo le comuni classificazioni degli esperti - artista concettuale, animato dalla convinzione della prevalenza dell’idea sulla rappresentazione, della teoria sulla forma, della elaborazione discorsiva dell’arte rispetto al manufatto dipendente dalla messa in atto della teoria. L’essenza dell’operazione artistica di Isgrò è nel pensare la cancellatura, non nell’eseguire la cancellatura su un testo. La cancellatura è esposta dall'artista in testi teorici, come Teoria della cancellatura, Galleria Fonte l’Abisso, 1990.
Chiunque potrebbe realizzare un manufatto indistinguibile nella qualità visiva da una qualsiasi opera di Isgrò cancellando con un pennarello nero quasi tutte le parole sulla pagina di un qualsiasi libro scritto in una qualsiasi lingua. Ma l'artista legittima la operazione della cancellatura da lui eseguita, affermando che «la cancellatura è come lo zero in matematica, chiamato a formare da solo tutti i numeri e tutti i valori». Il carattere concettuale di questa prassi artistica la rende incomparabile con i prodotti rappresentativi dell’arte occidentale precedenti e successivi alla cosiddetta «fase concettuale» poiché ciò che dovrebbe contare in questo tipo di esperienza è l’idea piuttosto che la sua realizzazione (secondo un modo di pensare che risale a Marcel Duchamp).
Simili prodotti dell'inventiva umana dovrebbero essere classificati, ai fini della tutela giuridica, non tra le opere artistiche ma in una zona di confine lambita dalla disciplina delle opere brevettabili quanto al contenuto, e dei segni distintivi quanto alla forma. Ma questa conclusione, mentre può contribuire alla comprensione del disagio in cui si è trovato il tribunale nel rendere una tutela che avvertiva come dovuta a fronte di un oggetto estremamente sfuggente - ossia l’operazione concettuale di Isgrò rapportata alla copertina di un disco; il prodotto esoterico di un’arte per soli iniziati rispetto alla semplice copertina di un disco lanciato sul mercato mondiale - testimonia allo stesso tempo lo scollamento tra l’idea di arte tutt’ora vissuta nel mondo del diritto e più in generale nella società, e talune pratiche storicamente celebrate. Per conferma, proviamo a questo punto a confrontare le nostre due immagini con quella di Poème Optique di Man Ray. Come osserva il tribunale, la differenza tra l’opera di Man Ray e l’opera di Isgrò è che la prima, diversamente dalla seconda (così come dalla copertina dell’opera di Roger Waters) non si compone di cancellature, ma direttamente di tratti di inchiostro nero sotto i quali non traspare un testo cancellato. Il che è sufficiente al tribunale per ritenere la diversità delle due opere (e, implicitamente, dell’opera di Man Ray rispetto alla copertina del disco, ritenuta illecitamente riproduttiva della cancellatura di Isgrò). Invece, non è difficile osservare che dal punto di vista visivo le tre opere sono sostanzialmente sovrapponibili anche se soltanto due sono chiaramente frutto di cancellature su un testo preesistente, mentre Poème Optique è un’opera composta di tratti uguali alle cancellature di un testo, ma tracciati su un foglio bianco: non di cancellature, ma di rappresentazioni mimetiche di cancellature. Dal punto di vista formale le opere corrispondono, quel che cambia è il retroterra concettuale della realizzazione. Da un lato disegni neri su un foglio bianco, ad animare un testo non leggibile; dall’altro disegni neri su testi leggibili e perciò resi illeggibili. Il risultato formale – quello della cancellatura di un testo stampato - è simile nei tre casi; il presupposto concettuale profondamente diverso. Ma il tribunale ha operato una distinzione, separando l’opera di Man Ray dalle altre due, benché tutte e tre determino un similare risultato visuale, non sovrapponibile - nella specificità - a nessuno degli altri due. Nella sua operazione dunque il tribunale ha valorizzato l’idea, la diversità concettuale di fondo tra il riprodurre l'effetto di una cancellatura su un foglio bianco e il cancellare effettivamente un testo con un tratto nero. È rimasto perciò suggestionato dall’idea piuttosto che dalla rappresentazione. Da ciò che è escluso dalla tutela piuttosto che da ciò che ne costituisce l’oggetto. Per conseguenza il tribunale ha assecondato l'idea che un artista possa creare un proprio linguaggio - e dunque non opere ma un codice di realizzazione delle opere - pretendendone, ed ottenendone, il diritto all’utilizzo esclusivo. Come se questo ipotetico linguaggio – compromesso dall’interdetto ad essere usato da altri che non sia il suo inventore – costituisse in realtà, e più modestamente, una tecnica di realizzazione di prodotti seriali, suscettibile di una tutela di tipo brevettuale.

Fabrizio Di Marzio è stato componente del comitato scientifico del Consiglio superiore della magistratura e, successivamente, della struttura didattica della Scuola superiore della magistratura presso la Corte di cassazione; è membro della Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. È parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare; partecipa inoltre alla commissione civilistica presso l’Organismo italiano di contabilità. Ha prestato attività di insegnamento di materie privatistiche in varie università. È stato componente di comitati tecnici e gruppi di lavoro presso la Presidenza del consiglio dei ministri e presso il Ministero dello sviluppo economico in tema di legislazione commerciale.