La margherita del digitale

di Claudio Rorato

Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°6, Ottobre 2019

Se è vero che «la bellezza salverà il mondo1» aiutiamola a diffondersi, a entrare nei più piccoli anfratti della vita quotidiana, in modo che raggiunga le anime di ciascuno, così che ognuno possa dare il suo contributo a salvare il mondo. Un percorso virtuoso e circolare. Ma che c’entra con l’arte e la tecnologia?
L’innovazione digitale, nelle sue più diverse declinazioni, è una vera rivoluzione non perché oggi esistono dispositivi digitali in gran quantità, ma perché attraverso il digitale stanno cambiando le modalità di gestire le relazioni tra individui, organizzazioni e macchine.
Non possiamo trascurare il fatto che il ricambio generazionale stia gradualmente modificando le modalità di apprendimento. Le nuove generazioni usano meno le fonti tradizionali (libri cartacei, programmi televisivi tradizionali), ma navigano in internet, usano i social network, adoperano in modo sempre più intenso gli smartphone che, per alcuni, stanno diventando dei veri pc portatili.
Il mondo dell’arte non si sottrae alle nuove tendenze che, per certi versi, potrebbero addirittura fornire un contributo alla divulgazione più estesa della cultura, intesa nella sua più ampia espressione. La tecnologia diventa, allora, un fattore che abilita la diffusione della conoscenza e nuove modalità di apprendimento. Per dirla con Jeffrey Schnapp2 : «… la tecnologia digitale non è importante in sé e per sé, ma è importante l’uso che, di questa, ne facciamo».
Sono proprio le funzioni d’uso su cui dobbiamo riflettere, ripulendo il pensiero dai preconcetti, dalle convinzioni personali, dalle false ideologie che possono condizionare negativamente scelte innovative fuori dagli schemi tradizionali. Le macchine né ci ruberanno il lavoro, a meno che non si pensi che il nostro lavoro sia l’unica cosa inamovibile, né sostituiranno l’uomo, a meno che non si pensi che ciò che siamo sia immutabile nel tempo (sarebbe, però, come sfidare la storia). La chiave di volta è sviluppare il senso di interazione con le macchine, con le soluzioni digitali, sfruttando le loro capacità di calcolo e di creazione di situazioni che amplificano la user experience.
Pensiamo a un museo tradizionale con le sue teche, i manoscritti, i percorsi che si snodano tra un oggetto e l’altro, tra un’opera e l’altra. Immaginiamo il bambino o il ragazzino di oggi, che dovrebbero osservare, contemplare e uscire soddisfatto dalla mostra. Possiamo raccontarci tutto ciò che desideriamo: “le nuove generazioni hanno perso il gusto della riflessione”, «dovrebbero imparare a soffermarsi su alcuni particolari, noi eravamo diversi», «oggi non sono più interessati a nulla». Dobbiamo renderci però conto che il pubblico sta cambiando, come accade normalmente nel passaggio da una generazione all’altra. Il desiderio di «vivere»l’esperienza oggi non proviene solamente dal gusto dell’anima ma anche da un impulso fisico, che ha bisogno di immergersi nel luogo, nell’oggetto, nell’opera. Pensare agli impatti del digitale significa valutare, almeno, i momenti dell’esperienza, della produttività, della sicurezza, della componente finanziaria, delle competenze. Dovremmo parlare approfonditamente e a lungo. Preferisco, allora, circoscrivere l’esame alla sfera delle opportunità che il digitale apre in termini di fruizione, suddividendo le considerazioni in tre ambiti specifici tra loro collegati: la sfera sociale, l’efficienza, l’efficacia della fruizione.
Sfogliamo insieme la margherita, esaminando sinteticamente ognuno dei suoi sette petali per riassumere il pensiero sul valore del digitale nell’arte e nella cultura.

La sfera sociale

Punto 1: il principio della democratizzazione. La pervasività del digitale, soprattutto grazie agli smartphone, consente il superamento, almeno parziale, delle barriere della diversità fisica, linguistica, di andare oltre le distanze geografiche mettendo online ciò che prima era visibile solo su carta (cataloghi, libri, …) o direttamente in loco. Internet è oggi accessibile a fasce di popolazione sempre più ampie e a costi sempre più competitivi, anche in spazi pubblici. La democratizzazione della cultura passa anche attraverso canali più facilmente accessibili da tutti. Sì, il digitale ci può portare ad avvicinare il sogno: essere ovunque nello stesso tempo, alla faccia di Achille che non raggiungerà mai la tartaruga!
Punto 2: : dal digitale nuove soluzioni per superare le barriere della diversità e del disagio. L’inclusione sociale diventa un obiettivo raggiungibile più facilmente: siti internet e mostre per ciechi e ipovedenti, progetti digitali per i detenuti sono alcuni degli esempi che chiariscono il ruolo sociale del digitale. La solidarietà «digitale» è il supporto che l’abile fornisce a chi abile non è. L’anziano che chiede ausilio al giovane per chiedere informazioni online, i siti internet pensati per i non vedenti, il collegamento controllato con il mondo esterno per chi è tra le mura della detenzione. Le barriere architettoniche informatiche possono essere rimosse attraverso soluzioni per ovviare alla disabilità.
Punto 3: accennavo già in precedenza quanto sia importante coinvolgere le fasce giovanili nella fruizione artistica, nelle sue diverse espressioni, utilizzando linguaggi a loro più consoni. Realtà, virtuale, realtà aumentata, 3D sono una modalità che potenzia la user experience, soprattutto quella giovanile abituata a usare smartphone, tablet e, in genere, dispositivi elettronici. Trasformare la fruizione tradizionale o abbinare a quella tradizionale una nuova modalità, più immersiva, consente anche a livello scolastico di adoperare strumenti che già da soli creano affezione nei ragazzi, perché più usuali alla loro esperienza. L’opera d’arte, la sua storia possono essere oggetto di illustrazione, comprensione, divulgazione con livelli anche superiori di «tangibilità» grazie al digitale. La multimedialità diventa una freccia in più all’arco per aumentare l’attenzione verso quella fascia di popolazione che, per effetto del naturale ricambio generazionale, acquisirà responsabilità crescenti nella società.

La sfera dell’efficienza

Punto 4: è ormai un assioma affermare che attraverso l’uso del digitale i processi di catalogazione siano più efficienti, sicuri e completi. La dematerializzazione documentale consente di gestire all’interno degli archivi elettronici una quantità ingente di informazioni come cataloghi, carteggi e quant’altro possa essere a corredo di un’opera. Gli originali, unici, possono essere come sempre opportunamente conservati e tutelati, ma possono comunque essere divulgati con molta più facilità attraverso le soluzioni digitali, concentrando l’attenzione sul loro contenuto. La stessa ricerca delle informazioni è molto più agile: il processo di «taggatura» delle stesse consente di navigare trasversalmente, consultando contemporaneamente più informazioni, che una gestione analogica renderebbe molto più complessa. Anche in chiave espositiva un archivio digitale può permettere la condivisione di sistemi di catalogazione, di allargamento della base informativa tra organizzazioni collegate tra loro all’interno di una rete (museale, commerciale, …).
Punto 5: la tutela a di un’opera e, in generale, di un patrimonio artistico può essere elevata ulteriormente grazie a strumenti tecnologici avanzati che consentono la loro tracciabilità in caso di spostamenti da luogo abituale di conservazione. La lotta ai falsi potrebbe diventare più «semplice» se gli artisti – quelli viventi – iniziassero a catalogare le loro opere, proteggerle all’origine con dispositivi elettronici – evito, per non dilungarmi, le descrizioni degli oggetti da poter apporre/inserire nell’opera – che contengono «la carta d’identità dell’opera o la sua impronta». Gli archivi di opere trafugate sono facilmente condivisibili e aggiornabili a livello internazionale.

Efficacia della fruizione

Punto 6: molto vasta l’applicazione del digitale alla user experience. Il visitatore – della galleria d’arte, del museo, del palazzo, del sito archeologico – può vivere un’esperienza mutisensoriale, immersiva grazie alle tecnologie digitali. La ‘barriera’ fisica del museo può essere superata dalle mostre online, che permettono ovunque e a chiunque di muoversi nelle sale dei palazzi, gustarne le atmosfere e vivere le opere e i loro particolari grazie a tecnologie evolute che permettono l’accesso a un nuovo modo di vivere l’opera. I punti di contatto con l’opera aumentano, l’interazione uomo-macchina si enfatizza con dispositivi che, avvicinandosi all’opera, consentono di acquisire informazioni visive e sonore aggiuntive. I siti archeologici possono animarsi, ricostruendo ambientazioni d’epoca. Le attività di restauro, espressione di competenze altamente specialistiche, diventano storie da raccontare che, per il loro dinamismo generato dalle tecnologie, avvicinano un pubblico prima inesistente.
Punto 7: : le sinergie territoriali, cioè la possibilità di gestire i patrimoni artistici online, permettendo la loro valorizzazione e divulgazione, ripensano il concetto del museo diffuso, non più limitato a un’area o a una città, ma alla rete internet. Si aprono scenari di ampia collaborazione tra turismo, arte e cultura, fornendo un contributo di sostanza alle economie territoriali.
Il grande merito che possiamo riconoscere alle tecnologie digitali è di consentire di moltiplicare l’effetto «bellezza» dell’arte. Pubblici più ampi, diffusione dell’arte e della cultura oltre i confini fisici, possibilità di vivere le opere in modo diverso, percependo aspetti prima solo immaginati.
Occorre, però, sviluppare nuove visioni, rivedere i concetti tradizionali anche in termini di competenze e ruoli. Gli esempi virtuosi del museo multimediale M9 di Mestre o del MAV di Ercolano segnano una svolta nel campo della fruizione dell’arte e della cultura. Esempi da seguire e replicare.

Claudio Rorato è Senior Advisor in Strategia, Organizzazione e Digital Transformation, Direttore presso gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano.

Note

(1) Fëdor Dostoevskij- L’idiota
(2) Fondatore di MetaLab – Università di Harvard