L’arte modifica la società: l'assunto su cui è nata ICA Milano

di Lorenzo Sassoli De Bianchi

Pubblicato in ÆS Arts+Economics n°4, Aprile 2019

Si è pensato per secoli di spiegare l’arte con la società, mentre è l’arte che chiarifica, almeno in parte, il vero carattere di una collettività. Oggi non si considera più la ricerca artistica autentica come un ornamento, una sovrastruttura sociale, un accessorio, al contrario la si analizza e la si interroga come una funzione fondamentale. Carlo Ludovico Ragghianti, indimenticato maestro di tanti di noi che ci occupiamo di riflessione e di pensiero sull’arte calati pragmaticamente nella fattualità, ci ha insegnato che l’arte non è puro fatto estetico, ma un’attività che «implica nella sua effettuazione componenti intellettuali, scientifiche, etiche che agiscono nel mondo sociale in cui l’opera d’arte si produce». In sintesi: l’arte modifica la società e contribuisce anche a un mutamento del vedere che induce nuove forme di sensibilità, di percezione e di comportamento. In buona sostanza, l’arte è materia vivente, cosa che può sembrare miracolosa o meravigliosa. Chi non riconosce e non include questa fondamentale esistenza umana tra le altre, questa parte della storia che è presente con la testimonianza della sua vita perenne, dimostra di avere un approccio arbitrario, finto o libresco.
L’arte può essere problema intellettuale e relativa soluzione, può essere sigla estetica, può essere impegno o strumento di cultura, può gravitare sulla funzione piuttosto che sulla forma, ma spesso stenta a guadagnare la pienezza della sua autonomia nella coscienza delle persone e tra le componenti della storia. Anche il Ragghianti riconosceva che «l’arte non è sempre canto che sveglia, talvolta resta latente in attesa di scoperta o di comprensione»
Ecco perché è fondamentale l’esistenza di organismi che aiutino a comprendere e a leggere, nel processo singolare di elaborazione delle opere, gli atti effettivi e significativi che sono stati compiuti.
Le arti contemporanee hanno guadagnato sempre maggiore spazio nell’esistenza quotidiana della società in varie forme anche impreviste e permesse da nuove tecniche. Più stringente diventa quindi il problema della riflessione e della comprensione per superare le più superficiali modalità comunicative le quali conservano in potenza il fattore creativo, ma come latente e misconosciuto, senza riconoscere o cercare l’agente. È come servirsi di un automa senza porsi il problema del principio che ne ha permesso la costruzione.
Ecco quindi l’importanza di istituzioni dedicate a quella ricerca artistica che, invece di riflettere i valori determinati dalle sovrastrutture della società, interviene nel disegno generale di una cultura di cui accentua certi tratti, tempera o sfuoca certi altri, aggiungendo ulteriori elementi e diventando così materia costitutiva della società stessa. Questi sono i presupposti su cui ha preso vita la Fondazione ICA Milano, un istituto per tutte le arti, un organismo per la cultura contemporanea, un centro culturale nato per stimolare il pensiero e la riflessione, un progetto ecologico per l’arte fondato sul principio di sostenibilità e sulle relazioni tra le persone, il loro contesto e il mondo dell’arte.
Più nello specifico ICA Milano è un’istituzione no-profit frutto della volontà, del desiderio e della passione di persone che hanno in comune l’interesse per la ricerca nelle più diverse espressioni artistiche contemporanee. La natura giuridica di ICA prevede una funzione totalmente pubblica senza alcun ritorno o vantaggio economico. La partecipazione e la condivisione diventano, così, voci determinanti per la riuscita del progetto.
Le attività della Fondazione sono molto articolate: da un programma espositivo dedicato a figure di artisti del ’900 fino all’attualità, all’interdisciplinarità dei linguaggi contemporanei nei quali le categorie si affievoliscono lasciando spazio a un’intertestualità dei pensieri e delle azioni in grado di coinvolgere ogni tipologia di pubblico. Editoria d’arte, ceramica, cinema, performance, musica, attività seminariale di divulgazione, formazione e terapeutica saranno alcune delle voci caratteristiche dell’ecosistema rappresentato da ICA.
I programmi culturali seguono un modello di partecipazione in cui il pubblico, i sostenitori, gli amici della Fondazione condividono il progetto di costruzione e di relazione tra le parti, siano esse altre istituzioni, artisti e operatori culturali con un processo di coinvolgimento diretto.
Nessuno dei fondatori di ICA è milanese, ma è stata scelta la città di Milano perché si è ritenuto fosse il contesto in cui la ricchezza del tessuto urbano, di iniziative pubbliche e private ha permesso uno sviluppo di modalità di pensiero e di approccio alla cultura della condivisione, sia sul piano artistico che su quello sociale.
Il nome ICA, Istituto per le Arti Contemporanee, inserisce la Fondazione nella costellazione degli istituti che hanno la loro matrice identitaria nella cultura anglosassone in cui nacquero alla metà degli anni quaranta, il primo a Londra nel 1946, tuttora modello insuperato.
In quale contesto generale si inserisce il progetto di ICA?
Viviamo in un Paese che versa in una condizione cronica di scarsità di risorse. Gli italiani hanno un rapporto con i beni culturali di «dipendenza senza sostanza». Quando ciascun italiano è interpellato, sottolinea la grande importanza della cultura, ma poi se ne dimentica, non se ne occupa, non la cura. E’ come avere una miniera d’oro ma non le risorse, la tecnologia, la voglia, la capacità di estrarlo e ci avvitiamo sul grande valore delle testimonianze che abbiamo ricevuto, senza intervenire per estrarre quel bene prezioso.
In Italia l’investimento per la cultura rappresenta l’1,1% del PIL contro una media europea del 2,2%. Lo stato ha ridotto lo stanziamento per il MIBAC negli ultimi 5 anni del 25% e oggi questo contributo corrisponde allo 0,19% del bilancio dello Stato e allo 0,1% del PIL, nettamente al di sotto dei Paesi occidentali.
Le erogazioni delle Fondazioni Bancarie sono scese negli ultimi 10 anni del 50%, così come sono calate del 50% negli ultimi 5 anni le sponsorizzazioni delle aziende private. È, oltretutto, sempre più complicato incrociare offerta di progetti culturali e sponsorizzazioni, sostegni ed erogazioni.
In questo quadro piuttosto desolante si inseriscono progettualità, il più delle volte private, di altissimo valore, ma troppo spesso legate all’iniziativa e alla passione di una persona e quindi destinate ad avere una vita problematica nel tempo.
Manca un progetto statuale organico che contenga e valorizzi ogni encomiabile iniziativa, non c’è una strategia di lungo respiro. Sarebbe intanto necessario dare più autonomia alla cultura svincolandola il più possibile dalla politica, snellendo le pesantezze burocratiche e gli intralci legislativi e, soprattutto, è indispensabile incrementare le risorse pubbliche e incentivare gli investimenti privati.
I tempi della cultura non sono quelli della politica che ha orizzonti brevi, mentre chi opera in campo culturale ha necessità di programmare a lungo termine attraverso competenze che si formano nel tempo.
La fotografia dell’attuale situazione italiana sui beni culturali ricorda l’immagine di Michelangelo sdraiato su un ponteggio che tenta di finire il suo capolavoro. Dipingere da sdraiati è complicato, lui ci è riuscito. Noi dobbiamo trovare la forza di alzarci in piedi almeno per prendere coscienza della grande risorsa che la storia ci ha reso disponibile.
In conclusione, penso che investire in cultura significhi partecipare in maniera diretta alla crescita del Paese. L’autonomia, la trasparenza, le risorse e i meccanismi per stimolarla sono le condizioni indispensabili per valorizzare il nostro patrimonio e incentivare la ricerca.
ICA Milano cercherà, nei suoi limiti, di dare il proprio contributo.

Lorenzo Sassoli De Bianchi è presidente della Fondazione ICA.