Rigenerazione ed approccio transdisciplinare: come creare innovazione sociale e culturale

di Giusy Sica

Pubblicato in ÆS ARTS+ECONOMICS N°9 febbraio 2021

“Culture gives meaning and pleasure to life. It encourages us to understand our own place in history and helps us challenge established social convention. Urban regeneration, economic growth and cultural development are all inter-related (Richard Rogers)”

La ri-generazione deve e può viaggiare sui due binari degli spazi e delle idee, concernere cioè sia gli aspetti fisici sia gli aspetti “mentali”. Sarà solo attraverso il connubio di tali elementi, in quantità proporzionale ed in qualità definite, che si può attuare la sua metamorfosi in un ri-prodotto culturale. La ri-generazione, così intesa, si intreccia in vari ambiti che necessitano di figure che, nella loro disciplina, abbiano una precisa direzione e che puntino ad una ri-funzionalizzazione. Attuando questi due termini, l’immagine che potrebbe sorgere alla mente è quella di una sorta di restauro che investe, attraverso processi architettonici e ristrutturali, edifici condannati all’incuria o, nei casi più gravi, all’oblio. Un’immagine di per sé fondata ma non per sé uguale nelle sue attuazioni. Ne possono far parte il restauro ed il recupero, aventi come sottofondo la valorizzazione prolungata nel tempo. Si potrebbe indicare che la caratteristica precipua di ciò che si intende con il termine ri-generazione è molto più ortografica di quanto si creda: quel prefisso, nel suo valore del ripetersi di un’azione in un senso – il senso della trasmissione di un’eredità culturale- si connette in un prolungamento della sua “generazione”. Cioè avviene non solo donando al suddetto spazio una nuova funzione ma cercando, quanto più possibile, di raschiare via la crosta del tempo per ri-attualizzarla, quasi fosse generato per una seconda volta e fossero portate alla luce le ragioni che ne hanno favorito la prima. L’aspetto mentale entra in gioco ancor prima di quello pratico: operare in seno alla ri-generazione presuppone la presa di consapevolezza di srotolare la linea del tempo ponendosi davanti un passato che è un’eredità culturale, che reca in sé le matrici di un’identità e di un territorio, ed anche un futuro, quello di aver cura della sua trasmissione. Per queste ragioni il territorio è infatti un “cantiere di progettazione” ideale e privilegiato per la ricerca sull’identità culturale di una società con una diversificazione di storia, religione, arte, enogastronomia, ecc. La “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società”, firmata dall’Italia nel 2013 (non ancora ratificata), considera i paesaggi come pienamente appartenenti all’eredità culturale, e in quanto tale deve essere trasmesso alle generazioni future1. Tale visione necessita però di una base fondamentale: la conoscenza ampia e varia di ciò che si deve rispettare, tutelare e valorizzare. Il binomio conoscenza – tutela acquista ancor più significato nel momento in cui si è ormai consapevoli che vasti territori, un tempo vivi e produttivi, sono attualmente abbandonati, condannati ad un degrado insito nella marginalizzazione. Contesti come quelli delle aree interne si presentano con forme ecologiche e sociali differenziate, con settori tuttora attivi nella loro continuità d’uso ma minacciati da dinamiche decostruttive che aggrediscono il territorio.

Se il fondamento dell’eredità culturale è la “generazione” di tale spazio, la testimoniata restituzione di quanto ha dato e di quanto ha influito sull’identità di chi lo vive ne è la ri-generazione. Di conseguenza in tale ottica l’innovazione non risulta essere un’alternativa: è la sola scelta possibile e quindi propedeutica alle analisi, agli scopi ed all’attuazione del caso in esame. Si configura consapevole qualora venga attuato il processo sul concetto stesso, vale a dire cioè che il concetto di ri-generazione, nel momento in cui viene applicato, dev’essere esso stesso ri-generato e solo a quel punto può essere riconosciuto innovativo. Le pratiche di innovazione sociale prevedono una comprensione profonda dei nuovi bisogni emergenti della società e degli individui e si basa su molteplici dimensioni della sostenibilità: quella economica, sociale, culturale e ambientale. Tale innovazione supera anche concetti di innovazione obsoleti legati esclusivamente alla componente tecnologica, come quello della Smart city. L’obiettivo è quello di avere un impatto sociale positivo su una comunità di riferimento, col fine ultimo di migliorare la qualità della vita degli individui. Per questo motivo è necessario che l’innovazione sociale diventi il motore principale dello sviluppo immobiliare, sostituendosi ai classici driver economici che fino ad oggi hanno guidato il settore del real estate.

Il riconoscimento maggiore di ciò che vi è insito, anzi, lo svelamento che ci porge un tale processo è la transdisciplinarità, quale unica base scientifica2. Tramite la comprensione di questo principio sarà possibile continuare ad innovare: è infatti soltanto attraverso il dialogo, la connessione e la condivisione di più saperi, che si potrà operare in tal senso. A questo punto risulta necessario focalizzare l’attenzione sulla scientificità del principio indicato che prende le mosse dal 1994 quando Basarab Nicolescu, Edgar Morin e Lima De Freitas firmano i 15 articoli della “Carta della Transdisciplinarità” proponendo l’adozione di un modello di pensiero alternativo ed innovativo, volto a stabilire un diverso concetto di realtà che risulti più adeguato a comprendere il mondo moderno. Laddove il riduzionismo scientifico viaggia su una logica binaria, integrano il “terzo occhio”3. Basarab Nicolescu, nel 1985, propone una definizione più dettagliata: introduce il concetto di “oltre” le discipline, sia quale adeguamento etimologico del prefisso “trans” sia dalla sua esperienza in fisica quantistica, le cui fondamenta condivise erano già state messe in luce da Heisenberg4.  Sono tre i postulati che elabora Nicolescu: l’esistenza di differenti gradi di realtà, di percezione e di conoscenza; la logica del terzo incluso che ci stimola a riflettere oltre la dualità, verso un nuovo livello di realtà; la complessità, da non intendersi quale complicazione, quando due prospettive diverse si incontrano. Dunque esistono differenti vie della conoscenza e non esiste gerarchia fra esse in quanto le diverse modalità sono complementari: un approccio transdisciplinare consente di far emergere nuovi problemi ed aiuta ad affrontare la complessità del reale ed allarga le prospettive di indagine. Per migliorare la comprensione, utilizza concetti che non appartengono a una singola disciplina: è cioè, lo spazio intellettuale in cui può essere esplorata e svelata la natura dei legami tra i molteplici domini di conoscenza. Alfonso Montuori, docente del California Institute of Integral Studies e ricercatore transdisciplinare, ha elaborato cinque dimensioni che fungono da cornice onnicomprensiva all’indagine5:

  1. La ricerca transdisciplinare è guidata dalla ricerca stessa, piuttosto che dalla disciplina di riferimento;
  2. Trans-paradigmatico, piuttosto che inter-paradigmatico;
  3. Pensare con modalità complessa piuttosto che riduttiva;
  4. Integrazione dell’osservatore piuttosto che l’oggettivo isolamento dello stesso;
  5. Indagine creativa piuttosto che riproduttiva.

Si tratta dunque di osservare il problema d’indagine senza le restrizioni di una lente disciplinare e cercando di connetterlo, mediante un’iniziale forma “narrativa”, al mondo reale: si osserva il fenomeno e lo si descrive; poi si enucleano i problemi attingendo alle soluzioni proposte dalle differenti discipline. Superati i confini della conoscenza disciplinare, interviene il metodo paradigmatico: si individuano tutte le possibili prospettive teoriche provenienti dalle varie discipline ottenendo una comprensione delle varie modalità con cui il problema è stato storicamente affrontato. In ultima analisi, il ruolo del ricercatore è rilevante, senza ridursi al piano asettico di una singola disciplina ed in tale prospettiva si denota un uso ottimale delle risorse perché tutto il team partecipa al risultato finale. Ciascun membro del gruppo è espressione della propria disciplina di provenienza e di differenti aspetti di tale disciplina.

Ripensare un modello culturale di Think tank

Ri-generare il concetto di think-tank e ripensare la ri-generazione come un innesto sinergico rientra in un’ottica sostenibile e socialmente innovativa perché investe il paesaggio umano del micro-sistema territoriale. Ri-generare è una consapevolezza: quella di riallineare il tempo, tra il passato come eredità culturale, che raccoglie l’identità di un territorio, ed il futuro, la cura della sua trasmissione.

Case study preso in esame è il Re-Generation (Y)outh think tank, team che si configura come un network operativo improntato su un approccio di tipo bottom-up: la ricerca viene svolta dai suoi membri in un processo partecipato volto a ri-pensare i processi innovativi ponendoli alla base di una nuova metodologia per la risoluzione delle problematiche che si presentano, in un’ottica di ri-generazione, sia di spazi sia di idee, ed affrontato dal macro al micro significato, nel settore culturale. Emblematico, già dal naming, risulta essere non solo l’ottica che soggiace alla metodologia ed ai processi ma anche all’appartenenza delle sue componenti alla generazione Y, la Millennial Generation, che va dal 1980 agli anni 2000, classificata da William Strauss e Neil Howe. Peculiarità del team è dunque la sua composizione: formato da donne in una nazione, l’Italia, al penultimo posto assestata a quota 49,1 %, per occupazione femminile, ben lontano dalla media del 57.8 % e del 62,3%, rispettivamente nazionale ed europea.

Il fattore Y, al pari di una sequenza cromosomica, vuol essere quello determinante. Il team lavora al pari di un think-tank basato sul concetto della transdisciplinarità ed operante in ambito culturale in ottica innovativa, considerando quale punto di partenza una ri-generazione consapevole e partecipata. Data l’appartenenza alla Millennial Generation, viene svelata la doppia faccia della connessione: non quella della generazione connessa e spesso incolpata di eccessiva dipendenza, di negativa brand loyalty, di essere soggetta alla social proof ma quella della rete quale strumento di condivisione e di costruzione, quale meccanismo di informazione per trasmettere il proprio approccio e per dare voce alle best practices che la Generazione Y è riuscita a mettere in atto. Banco di prova nell’analizzare l’efficienza del team è stato l’European Youth Event 2018, tenutosi presso il Parlamento Europeo di Strasburgo, e proprio nell’ambito del report sulle 100 migliori proposte tra cui ne appaiono due teorizzate dal Re-Generation (Y)outh: il suo approccio peculiare si è rivelato il vero fattore Y sorto dalla volontà e dalla determinazione di innovare applicando e, soprattutto ripensando, il concetto di rigenerazione, in modo consapevole ed evoluto. In modo che conoscenze differenti vengano tese sul fertile terreno culturale da un unico filo e possano convergere, attraverso una visione d’insieme, su tematiche specifiche ma mai circoscritte.

Esposta la composizione del gruppo e reso noto l’approccio scientifico della transdisciplinarità, non può non farsi strada una riflessione sulle STEAM la cui natura risulta strettamente correlata alle precedenti. Si deduce dunque che il   possibile passaggio da STEM a STEAM può avvenire sul terreno fertile delle discipline umanistiche partendo anche da due presupposti: la maggior presenza femminile in ambito umanistico e soprattutto il possesso da parte di questa presenza di competenze oggi maggiormente richieste nel campo dell’innovazione. Queste ultime vengono definite soft skills, sempre più riconosciute dalle aziende come essenziali per il business e necessarie non solo per la formazione di nuovi manager ma che si vanno profilando quale risoluzione alla riduzione del gap nel mondo del lavoro delle donne, gap evidente dal fatto che si orientano maggiormente verso discipline umanistiche in cui tuttora manca l’aspetto tecnologico. Si crea dunque un rapporto d’osmosi tra maggiore presenza femminile in ambito umanistico e minore presenza delle discipline umanistiche sul mercato lavorativo, soprattutto in termini di richiesta: un rapporto d’osmosi inversamente proporzionale alle tendenze proprie di un approccio fondato sulla STEM. L’integrazione, in termini anche transdisciplinari, tra tecnologia ed ambito umanistico, può avvenire attraverso la STEAM laddove le nuove professioni, ampiamente incentrate sulla tecnologia, richiedono un affiancamento dell’ambito umanistico anche a partire da questioni di analisi di tendenze e capacità di problem solving . Punto di partenza per questa integrazione, possibile solo attraverso la previa ammissione della STEAM, è posto dalle metodologie didattiche necessarie a valorizzare le competenze disciplinari e le soft skills (competenze trasversali). Si pone dunque la necessità di un cambiamento culturale e la necessità di ripensare le modalità di apprendere e dei suoi significati: oggi un tema centrale della mia riflessione di manager, professionista, come di ogni altra persona. Oggi le tecnologie si stanno sempre più impadronendo dei linguaggi umani: l’innovazione può partire dalle persone per umanizzare le tecnologie, la nuova e possibile prospettiva. Abbiamo bisogno di fissarne il ruolo per trarre il massimo da questi strumenti volgendo ad una crescita ed un progresso che sia il più possibile inclusivo, sostenibile ed etico.

L’integrazione in tal senso, foriera di un rinnovato rapporto nei confronti delle discipline STEAM, è la vera ri-generazione di idee, propriamente transdisciplinare, che può avvenire in questo ambito. Soltanto ripensando gli approcci e le metodologie, puntando all’inclusione di un settore in un macro-settore, educando i futuri professionisti, sensibilizzando la società a tematiche che esperiscono nella loro vita quotidiana ma che risultano talmente evidenti da essere considerate scontate, dotando il mondo del lavoro degli strumenti culturali atti ed adatti ad un affiancamento in fieri, si potrà assottigliare un gap da due punti di vista. Il primo coinvolge l’ambito umanistico, il secondo le donne nel mondo del lavoro. Se il secondo può essere affrontato a livello normativo ma soprattutto grazie ad una quotidiana spinta emancipatrice di tutte le donne; il primo può essere perseguito attraverso una visione che sia integrata, con l’unico principio cardine della transdisciplinarità, ruotante attorno all’attuazione che è attualizzazione dell’innovato e ri-funzionalizzato concetto di ri-generazione.

Giusy Sica, classe ’89, campana d’origine e viaggiatrice europea per “legittima difesa”, è specializzata in Cultural Heritage Management e nella gestione di progetti culturali su scala nazionale ed europea. Nel corso degli anni, grazie alle diverse collaborazioni avute con dipartimenti universitari, centri di ricerca internazionali, organizzazioni no profit e mondo profit, ha maturato una passione per progetti ed attività legate allo sviluppo locale ed europeo. E’ referente scientifico di attività ed eventi volti ad incoraggiare la partecipazione dei giovani alla politica europea. Relatrice, mentore e speaker accademica in diversi incontri tematici, nel 2019 è stata inserita da Forbes Italia tra i “100 leader del futuro under 30” nella categoria “Social Entrepreneur” . Founder di Re-Generation (Y) outh Think tank,un network indipendente di donne italiane che cerca di raggiungere l’empowerment politico, sociale, economico e culturale delle giovani donne attraverso la sostenibilità, la rigenerazione culturale, l’innovazione e la formazione continua. TEDx Speaker e valutatrice per la prossima programmazione europea 2021-2027 per i progetti legati alla cultura, all’educazione e alla parità di genere è stata selezionata dalla Unit Youth Outreach del Parlamento Europeo tra le 50 più influenti giovani founder europee. Attualmente è assegnista di ricerca per il progetto “Progetto PRIN Smart Open Urban-rural iNnovation Data (SOUND)” e Direttrice Operativa del Centro Europe Direct “Maria Scognamiglio” dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Inserita da DLaRepubblica tra le 50 donne che si sono contraddistinte in Italia per il 2020.

Note

(1) Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society <http://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/ rms/0900001680083746>
(2) Transdisciplinarità è un termine che appare per la prima volta nel 1970, quando Jean Piaget puntando ad uno stadio “che non dovrà essere limitato a riconoscere le interazioni o le reciprocità attraverso le ricerche specializzate, ma che dovrà individuare quei collegamenti all’interno di un sistema totale senza confini stabili tra le discipline stesse.
(3) Nicolescu, B, La transdisciplinarité, Manifeste, Monaco 1996.
(4) Werner Heisenberg, premio Nobel per la fisica nel 1932, enunciò il suo principio di Indeterminazione dimostrando che nella meccanica quantistica alcune cose non possono essere mai conosciute, ovvero sono inconoscibili in linea di principio, rendendo scientifico il dubbio.
(5) Montuori, F., “Five Dimensions of Applied Transdisciplinarity”, in AA.VV. (a cura di) Integral Leadership Review, 2012, http://integralleadershipreview.com/7518-transdisciplinary-reflections-2/