ROTTE RADICALI: LE PRATICHE ARTISTICHE DI ISABELLA PERS E NADA PRLJA NEL CONTESTO DELLA CRISI CLIMATICA

di Lara Gaeta

“Le questioni che oggi gli scrittori e gli artisti dovrebbero affrontare non riguardano solo gli aspetti politici dell’economia dei combustibili fossili, ma anche i nostri stili di vita e il modo in cui essi ci rendono complici degli occultamenti messi in atto dallacultura in cui siamo immersi.”                                                                                                                                                                              (Amitav Ghosh, La grande cecità)

Le opere d’arte sono da sempre intese come “strumenti profetici” di predi-zione del futuro.

Tuttavia, l’arte contemporanea non ha la tendenza a predire, ma piuttosto ad affermare ciò che esiste già e rivelare gli anfratti più angusti e profondi del reale, gli aspetti che non si conoscono o che, come ogni verità scomoda, si vogliono evitare.
Oggi l’arte si manifesta spesso come una critica al presente, in svariate forme e linguaggi, una speculazione che non conduce ad alcun “altrove”, che non sviluppa necessariamente dei ragionamenti utopici, ma che è anzi una presa di coscienza, disillusa e ironica, del mondo e del contesto storico che stiamo affrontando. In ogni epoca l’artista è colei e colui che inverte le ten-denze della società, che sviluppa nuovi quesiti, origina nuovi significati e dà vita a delle relazioni inedite tra le cose. L’arte contemporanea continua ad affermare questo, ma tracciando una rotta specifica, che non prevede sfuma-ture né tentennamenti e che interpreta le grandi crisi globali (ambientale, ecologica ed energetica) e le sfide del nostro secolo con particolare coeren-za. Ci troviamo di fronte a un “turning point” senza precedenti, non c’è più tempo per riflettere o sbagliare dunque, va seguita la direzione corretta e ora più che mai gli artisti si fanno precursori di questo cambiamento, per lo sviluppo di una coscienza ecologica sempre più radicata. Il sistema artistico deve poter mettere in discussione le modalità stesse di produzione delle opere e di organizzazione di eventi quali mostre, festival e fiere, per inquina-re il meno possibile, produrre meno rifiuti e assecondare le necessità del Pianeta.
Ritornano così emblematici quegli artisti del Novecento che, seppur non abbiano vissuto sulla loro pelle, come accade a noi oggi, le derive estreme e le conseguenze catastrofiche della crisi ambientale, avevano già compreso l’importanza del recupero e riciclo dei materiali, una pratica alla base delle loro operazioni artistiche. Ne è un esempio l’artista concettuale britannico John Latham che realizzava rilievi, sculture e installazioni decostruendo la struttura originaria dei libri.

Il suo lavoro è una riflessione poetica e provo-catoria sulla natura della conoscenza umana, sugli strumenti e sistemi con cui l’essere umano tenta di comprendere l’universo e il proprio destino.
Due sono le artiste contemporanee, Isabella Pers e Nada Prlja, le cui ricer-che vorrei approfondire in questo articolo, che interpretano il presente con occhio critico, mantenendo una certa coerenza tra i messaggi veicolati: le questioni ambientali ed ecologiche, la critica al capitalismo e al consumi-smo, e le modalità di realizzazione delle opere con materiali e oggetti di re-cupero.
Isabella Pers è un’artista italiana, di Trivignano Udinese, che con la sua ri-cerca riflette sulle interconnessioni tra ecosistemi naturali, sociali, e culturali e sull’impatto del dominio antropocentrico sulla vita del Pianeta. Nada Prlja è un’artista della Macedonia del Nord che vive a Copenaghen e Londra, il cui lavoro si occupa delle complesse situazioni di disuguaglianza e ingiusti-zia nel mondo contemporaneo. Il suo obiettivo principale è quello di in-fluenzare la società nel modo più diretto possibile.
Le loro opere parlano di un futuro diventato presente, di geografie distanti tra loro che improvvisamente si sovrappongono fino a diventare una unica, in un modo di percepire il mondo che vede le esistenze degli esseri umani e degli altri viventi inaspettatamente intrecciate. La loro ricerca affronta le cri-ticità della nostra epoca attraverso molteplici sfaccettature: dalle catastrofi naturali generate dall’azione umana che colpiscono in maniera sempre più diffusa e frequente diverse località del Pianeta, alle sovrastrutture mediati-che che condizionano i nostri pensieri e azioni, fino al sistema dell’arte stes-so che viene messo in discussione dalle radici. I progetti di Pers e Prlja rive-lano le fratture e le contraddizioni del capitalismo e allo stesso tempo elabo-rano delle proposte per superare l’empasse tra natura e cultura.
I loro percorsi artistici sono delle “rotte radicali” che tracciano una direzio-ne chiara, senza accettare scorciatoie o compromessi, in un presente che è già di per sé più distopico di qualsiasi illusione o racconto fantascientifico e che supera di gran lunga l’immaginazione.
Nel doppio dipinto La radice è nell’aria (2021) di Isabella Pers l’artista ritrae due volte un albero sospeso: è sradicato e i suoi rami sono impigliati ai cavi della luce.
È una visione allo stesso tempo drammatica e maestosa, una rie-laborazione di una fotografia reale. L’albero raffigurato è un abete rosso ab-battuto dalla violenza della tempesta Vaia che ha colpito l’Italia nord-orientale nel 2018. Un evento metereologico devastante, che ha provocato la distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine e di cui ancora oggi si riconoscono gli effetti. Nel dipinto l’albero pare osservare la foresta dall’alto, come se volesse ancora parlarle. È una figura iconica che rimane impressa nella mente, così come la fotografia di quella pianta sospesa è ri-masta impressa nella memoria dell’artista, tanto che ha deciso di ritrarla più volte, quasi a volerla commemorare e celebrare. Il titolo è tratto da un verso della poesia Piove di Pierluigi Cappello (“…l’albero è capovolto, la radice è nell’aria”), in cui la pioggia descritta non ha nulla a che vedere con la violen-za incontrollata della tempesta Vaia, ma viene invece associata a una carez-za fatta alla persona amata, diventando un gesto di cura qui rivolto alla fore-sta. Fisicamente, gli alberi abbattuti dalla tempesta vengono ripresi dall’artista per una seconda opera omonima: le sezioni circolari dei tronchi di abete rosso sono la materia su cui l’artista dipinge, per dar vita a un’installazione di grandi dimensioni. Nell’opera due storie s’intrecciano, due differenti catastrofi ambientali dovute a fattori antropici coincidono: la tempesta Vaia e la progressiva sparizione delle isole dell’Oceano Pacifico, gravemente minacciate dall’innalzamento del livello del mare.
Anche Nada Prlja riflette sull’impatto negativo che l’essere umano ha sull’ambiente, ma la sua riflessione si genera in seno al sistema stesso di cui è parte, quello dell’arte, con le contraddizioni e le negligenze che porta con sé.
AdaN, Call to Borrow, Reuse & DeArtify (2019 - in corso), è una graphic no-vel in più episodi, ambientata in un futuro-presente distopico, che trae ispi-razione dall’esperienza personale dell’artista alla Biennale di Venezia, quan-do nel 2019 è stata invitata a rappresentare il suo paese, la Macedonia del Nord. In quell’illustre contesto artistico internazionale l’artista ha preso co-scienza del consumo e dello spreco eccessivo di risorse e materiali, special-mente nelle fasi di allestimento e disallestimento delle mostre nei padiglioni. Un comportamento incoerente per l’artista, a maggior ragione se la maggior parte dei padiglioni nazionali affrontava questioni legate al cambiamento climatico e alla crisi ambientale. AdaN, il protagonista della graphic novel, è dunque l’alter-ego di Nada, un’artista, ma anche una supereroina che dipin-ge sul suo volto il quadrato nero di Kazimir Malevič, un ritorno simbolico al “grado zero” della pittura e dell’arte. In NadapradA (2019 - in corso), inve-ce, un progetto ispirato all’ambientazione apocalittica della graphic novel AdaN, opera in cui vengono assemblati e cuciti insieme differenti capi fir-mati e di lusso, l’artista gioca ancora col suo nome personale, ma questa vol-ta per portare avanti una riflessione sul valore che può avere un abito firma-to, oppure una o più parti d’indumento che, come in questo caso, diventano opera d’arte. I materiali utilizzati sono riciclati e la forma dell’abito viene decostruita e ripensata dall’artista che diventa autrice di qualcosa di nuovo.
Dal gioco di parole del titolo traspaiono un’autorialità e una firma duplici: del designer di moda e dell’artista.
Attraverso queste pratiche Isabella Pers e Nada Prlja si affermano come ar-tiste radicali, che con la loro ricerca non solo portano avanti la critica al si-stema socio-politico capitalista e al consumismo che incentiva l’eccesso e lo spreco (Z. Bauman, Consumo, dunque sono), ma mettono in discussione anche loro stesse e il loro modo di operare, così come il sistema in cui sono inseri-te, per sfatare ogni illusione e raggiungere “la radice” del problema. Nella società attuale ogni artista dovrà, se vuole mantenere un certo grado di coe-renza, parlare di cambiamento climatico, di impatto ambientale e di fine del mondo che è alle porte, tenere in considerazione anche le modalità di pro-duzione delle opere e i gesti della propria quotidianità, per non incentivare quegli stessi meccanismi con i quali eticamente si scontra.
Pers e Prlja propongono dunque un cambio di prospettiva netto, promuo-vendo delle pratiche artistiche che attraverso il recupero, il riciclo, il “pren-dere a prestito” materiali e oggetti già esistenti, non pesano eccessivamente sull’ambiente e su altre forme di vita diverse da quella umana. Le loro opere sono il frutto di un processo: dal passato si giunge al presente e si guarda in faccia ai problemi con occhi nuovi.

Lara Gaeta, è direttrice della galleria aA29 Project Room e curatrice. Vive e lavora a Milano. Si è laureata al corso magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni artistici all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sugli aspetti politici ed ecologici della pratica artistica di Joseph Beuys. Ha lavorato per diffe-renti musei e istituzioni quali Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Grassi e Punta della Dogana (Venezia) e Fondazione Pirelli HangarBicocca (Milano).