Il diritto all'orizzonte

Il diritto all'orizzonte

In occasione di Ravello Lab 2023, che si è svolto il 19-21 ottobre, il nostro socio Franco Broccardi è intervenuto sul tema delle relazioni culturali e dell'internazionalizzazione. Pubblichiamo di seguito il suo contributo.

Sulla narrazione della cultura come cura ne abbiamo sentite di ogni. La mia convinzione, peraltro, è che non sia la cultura ad avere effetti benefici sul corpo e in particolare sulla mente, ma che sia la curiosità, che è certamente spesso alla base della ricerca culturale, ma che può altrettanto, certamente, prendere altre strade ugualmente stimolanti, il vero fattore positivo per il nostro cervello.

Detto questo, la compiaciuta narrazione sui poteri taumaturgici della cultura interseca quella altrettanto stucchevole sulla capacità delle politiche culturali di promuovere dialoghi bi- e multilaterali tra identità diverse. 

Un pezzo apparso su Al Jazeera qualche tempo fa ha raccontato la storia di Room41 e dei dj siriani fuggiti da Aleppo a Gaziantep in Turchia a causa della guerra nel loro paese e che animavano le notti aiutando gli abitanti della città a superare l’ulteriore trauma del terremoto. Questo pezzo è stato tradotto da Internazionale con il titolo "La musica che guarisce" e la storia riassume in sé e dà risposta alle due questioni. È questo il modo in cui davvero le arti diventano un supporto positivo e alternativo, la dimostrazione che i confini sono solo una arbitraria interpretazione dettata da interessi economici prima che culturali e che più che parlare di diritto alla cultura dovremmo sostenere il diritto alla possibilità, o più poeticamente, all’orizzonte. 

La cultura viaggia su canali diversi rispetto a cinquanta anni fa. Non era la stessa neanche venti. Si ricrea e si trasforma ogni giorno e non possiamo non tenerne conto quando ne parliamo. Pensiamo davvero, ad esempio, che ci si possa fermare a ragionare su come portare le persone nei musei se questi non sanno adeguarsi ad un mondo che cambia? Su come far sì che le persone leggano se non capiamo che leggere ha molte forme e i libri sono solo una di queste?

Per parlare di welfare culturale, così come per parlare di internazionalizzazione, credo sia necessario fermarsi a riflettere sull’eterna domanda su cosa sia davvero la cultura. E soprattutto cosa sarà cultura domani. Quali strade e quali interessi coinvolgono le nuove generazioni e come tutto si sta trasformando, se si sta trasformando.

Novantatré milioni di utenti di tutto il mondo scrivono, leggono, commentano, decretano successi e fallimenti di opere letterarie su Wattpad. Senza intermediazioni, senza profitto, senza confini. Solo letteratura di tutti i tipi, livelli, generi. È cultura? Certo che la è. 

I tatuaggi sono forse la più antica forma d’arte nuora praticata. La pelle viene utilizzata come una tela in quasi tutto il mondo. Una tela su cui raccontare storie, dichiarare appartenenza, esprimere sentimenti e usare immagini e simboli per farlo. È arte? Certo che lo è. Un’arte senza confini anche quando espressamente identitaria.

La musica tutta, dai mega progetti di Taylor Swift e Beyoncé a quelli microscopici di giovanissimi in cerca di fortuna in questo mondo viaggia ormai sulle grandi piattaforme audio e video come Spotify, Youtube, Tiktok.

La cultura da sempre ha messo in dialogo persone e popoli, talvolta le ha anche poste in conflitto ma le ha sempre fatte comunicare. Le ibridazioni sono ormai un carattere consolidato della nostra epoca con buona pace di chi ancora trova distinzioni identitarie da difendere in maniera corporativa. E non lo sono da adesso. Ci sono luoghi che da decenni sperimentano e alimentano gli incontri di culture come, ad esempio Orienteoccidente, un festival di danza contemporanea che da più di quarant’anni si pone come incontro internazionale di culture proprio per portare in Italia le voci di persone provenienti da paesi diversi.

Possiamo e dobbiamo immaginare di difendere le storie e le tradizioni locali come, ad esempio, i cori e le bande del trentino ma non possiamo pensare che i rave, frequentati da giovani da ogni dove non assolvano lo stesso bisogno di comunità, di racconto, di valore condiviso.

E quindi. Ha senso immaginare strategie per portare gli artisti, di ogni genere, all’estero o forse sarebbe più produttivo rendere questo nostro paese più accogliente, in ogni senso? Ha senso investire in tentativi di allargamento o non è forse più facile e interessante lavorare per rendere l’Italia un hub, facilitare l’arrivo delle idee di ogni mondo più che difendere i nostri fragili confini? Le politiche culturali e quelle economico-fiscali che le indirizzano, se davvero vogliamo sprovincializzare il nostro paese dovrebbero abbandonare logiche corporative, le stesse che invadono il settore culturale e artistico e che ne frenano lo sviluppo non solo economico ma anche e soprattutto creativo, e permettere lo scambio di idee e di opere, consentire e facilitare la produzione e il commercio di arte e spettacoli provenienti da altri mondi. 

Le relazioni internazionali della cultura sono un falso problema. La cultura ha già il modo di circolare liberamente e non conosce i confini. Negarlo è al tempo stesso farsi un torto e un’occasione persa. Più di una.